Aspetti di archeologia urbana: il quartiere della Fontanella a Castelbuono

(Di Massimo Genchi) – Ritengo che per gli appassionati di storia urbanistica sia uno stimolante esercizio della ragione e dell’immaginazione progettare nel passato. Vale a dire, riuscire a “vedere” e a restituire, sulla base di dati storici certi ma visivamente non più documentabili oppure probabili sulla base di dati iconografici, come poté essere una porzione di paese, un rione, la ripa di un corso d’acqua.
I castelbuonesi debbono tantissimo al prof. Orazio Cancila per la straordinaria quantità di dati storici che ha messo a disposizione di ciascuno di noi, frutto di una vita di incessante lavoro d’archivio. Gli dobbiamo ancora di più, però, per avere mostrato come questi dati possano essere utilizzati ed elaborati.
Mi riferisco, nella fattispecie, alla felice collocazione spaziale che è riuscito a darci di Sichro, il nucleo da cui, si sarebbe originata Castelbuono. Sichro si sviluppava sostanzialmente lungo l’attuale via Turrisi e penso che, chiunque abbia letto quella deliziosa pubblicazione, transitando per quei pressi, anche solo per andare a comprare i dolci da Pinsino, abbia acquisito piena consapevolezza di stare con i piedi ben saldi sulla storia del nostro paese.
A partire dai dati ricavati dai fondamentali lavori di Cancila e di Magnano, tempo fa mi sono cimentato nella ricostruzione ideale del giardino dei Cerasi e di come dovette presentarsi la Stratalonga nell’epoca in cui accoglieva il letto del fiume che attraversava il paese da sud a nord.
Nelle adiacenze di quel fiume, lungo la sua sponda ovest, all’altezza della Piazza del ponte, si apriva l’antico quartiere della Fontanella, che trae il nome da una presa d’acqua alimentata da una sorgiva naturale, situata proprio fra la Piazza del ponte e la strada dell’Inchiancato, l’attuale Via Umberto I. Magnano ritiene che l’abbeveratoio di San Francesco, la Fontanella, e la fontana situata nel punto dove sarebbe sorta la Fontana grande fossero forse le uniche prese d’acqua all’interno dell’abitato prima della realizzazione delle grandi opere idrauliche del tardo Cinquecento.


Il quartiere della Fontanella, «che includeva l’area verde su cui si affacciano oggi le abitazioni di via Umberto I, da piazza Matteotti al collegio di Maria era scarsamente urbanizzato e perciò con parecchi giardini, uno dei quali era appunto il giardino di la grassura di la fontanella» (Cancila, Nascita di una città, p. 19). Questo, con ogni probabilità, ricadeva nella zona più alta di via Principe Umberto, nel retro della stecca di case, ed essere ancora oggi, in parte, una zona verde.
Applicandoci in un piccolo esercizio di immaginazione possiamo vedere questo quartiere estendersi a valle di Via Umberto I, quindi dietro la Fontana grande, nel tratto compreso fra il fiume e la chiesa di San Pietro, u Crucifissu, o – che è più esatto – fino al muro perimetrale del giardino del Collegio di Maria.



Chiaramente, in un piccolo borgo cinquecentesco scarsamente urbanizzato un quartiere si configura come un insieme di case sparse fra i prati. Dunque, a valle di Via Umberto I si apriva la campagna punteggiata con sporadiche casette di civile abitazione. Le discontinuità, ancora oggi esistenti lungo il fronte orientale dei fabbricati di Via Umberto I, si potrebbero leggere come degli accessi al quartiere della Fontanella previsti durante le varie fasi di edificazione di quelle case. Si tratta del sottopasso (oggi non più comunicante col giardino) adiacente al Collegio di Maria, il Cortile Ventimiglia, il retro della Fontana grande, allora certamente aperto nella sua parte più bassa e l’ingresso al cortiletto di Sopra il ponte che, un tempo certamente sboccava sul giardino, permettendo di inoltrarsi fino alle mura del Collegio.




La bella colonnina in mattoni rotondi rossi con capitello, giunto lì chissà da quale antichissima chiesa del borgo, oggi ancora in bella vista, pur nell’assenza della gemella, lascerebbe immaginare che proprio in quel punto si aprisse un ingresso (la casa sovrastante è tardo ottocentesca), un viale o, meglio, la strada principale che attraversava quel quartiere da un capo all’altro.



È possibile che lungo questo immaginato viale si trovasse la cappella di san Rocco che Cancila colloca nei pressi della chiesa del Crocifisso: «la cappella di San Rocco poteva quindi trovarsi all’interno della vicina chiesa di San Pietro. Non a caso la statua di San Rocco proviene dalla chiesa del Crocifisso, di cui più tardi la chiesa di San Pietro costituì la sacrestia». (Nascita di una città, p. 645)



All’interno del quartiere le case erano letteralmente immerse nel verde ma, dato che si trattava soprattutto di appezzamenti di proprietà di facoltosi castelbuonesi, non è azzardato pensare che quegli spazi verdi fossero anche attrezzati con vasche d’acqua, vialetti, pergolati, siepi, ticchiene, di cui qualche vestigio rimane ancora oggi. Ciò è suffragato dai documenti pubblicati da Magnano: a metà seicento si parla di «tenimento di case con baglio, giardinetto di agrumi e fontana con puttino presso la piazza della fontana grande» (Castelbuono capitale dei Ventimiglia, p. 147), vale a dire lo slargo posteriore rispetto alla Fontana grande, allora confinante col giardino. In quel quartiere, data la presenza di giardini, vi era più di una casa magnatizia, come quella che sorge dirimpetto al palazzo Turrisi anche se la più sfarzosa era la domus magna della famiglia Schimbenti-Moncada, oggi Morici, arrivata molto ben conservata ai giorni nostri e mantenendo parecchie peculiarità dell’antica domus, compresi i due giardini di agrumi, uno grande e uno piccolo, col terrazzo che si affaccia su essi, il cortile interno, la scala esterna che porta al primo piano, il prospetto e il portale.




Il quartiere della Fontanella era più che ricco di acque, essendo solcato dagli scoli di sorgive e da corsi idrici provenienti dalla parte alta del paese. D’altronde, la Fontana grande sorge su una pozza d’acqua alimentata da un flusso proveniente da San Francesco, attraverso u Chian’â matrici e la strada che da qui scende al corso. L’abbondanza di acque rendeva rigogliosi i giardini e gli orti che si estendevano dalla Piazza del ponte fino al Piano del Marchese e dovette essere senza dubbio questa copiosità che, sul finire del Settecento, indusse alcuni industriosi a impiantare delle concerie nel quartiere della Fontanella e ai suoi margini, affiancando così quelle cinquecentesche del versante ovest del paese, lungo il fiume San Calogero nel sito detto u Munnizzar’â Calìa.
In questa straordinaria mappa del 1826 (che debbo alla cortesia del prof. Cancila) relativa alla zona di Sopra il ponte e del Rosario, in A sono segnati i fabbricati di civile abitazione, B, C, D, E sono le quattro concerie, S è la fontanella, T è la Fontana grande, 1 è il sottopasso adiacente al Collegio, 2 è il Cortile Ventimiglia, 3 il passaggio nel giardino dallo slargo dietro la Fontana grande, 4 la Chiesa del Crocifisso. Y rappresenta l’odierna stecca di case di via Dafni, in una delle quali è la sede della Pro-loco. Ai primi dell’Ottocento, secondo la mappa, erano case dirute e a me piace pensare che si trattasse delle stesse case che nel Cinquecento costituirono il nucleo del quartiere della Fontanella. Il cortiletto della Piazza del ponte ancora non esisteva ma sarebbe sorto fra il fiume e le concerie C e D.

Per ciascuna conceria la mappa riporta il rigagnolo che esce dall’opificio e, dopo un più o meno breve tragitto, scarica i liquami nel burrone. All’acqua fetida del burrone si sommavano i miasmi dei rifiuti delle concerie. Non doveva essere per niente gradevole quel terribile fetore. Riporta il prof. Cancila che diversi cittadini denunciarono la estrema vicinanza di quegli opifici all’abitato ma i gestori ebbero sempre la meglio. A causa della insalubrità dell’aria in quella zona, solo cento anni dopo – 1927 – ma le concerie non erano più attive da anni, si decise di intombare il fiume fino allo stradone, determinando la nascita della strata nova. Anche se uso un termine improprio, a me piace chiamarlo fiume perché ci deve essere stato un periodo, in secoli lontani, in cui in quel corso le acque fluirono abbondantissime e assai pulite e forse furono popolate da fauna ittica di acqua dolce.


Sotto la soglia della porta più interna del cortile di Sopra il ponte, chiusa da una grata forgiata battendo sull’incudine il ferro incandescente, ancora oggi è possibile osservare un largo imbocco che connette in sotterranea il piano del cortiletto col giardino sottostante: andando con la mente, non è difficile individuare in esso il condotto che conduceva al burrone i liquami della conceria D della mappa, che si affaccia sul cortile attraverso due porte di cui una, esattamente dirimpetto all’imbocco, è chiusa da quest’altra grata.
Sembra incredibile come in un’epoca di stravolgimenti, deturpazioni e di cancellazione a tappeto di memoria e di ogni sorta di peculiarità posta a corredo del tessuto urbano, quel vestigio, a prima vista insignificante e di nessuna utilità se non quella di far defluire le acque piovane, continui a resistere.

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