Caro avv. Lupo è giunta l’ora di abbattere il muro del silenzio

(Di Massimo Genchi) – Caro avvocato Lupo, non so se lei nota, come me, che in questo paese si sta instaurando un clima di sopraffazione e di intimidazione verso coloro che si oppongono apertamente ai sistematici tentativi di imbavagliamento da parte di coloro che, in maniera disperata e delirante, tentano di perpetuare l’esercizio del potere. In buona sostanza, per costoro, chi non ha vinto le elezioni del 2017 non ha diritto di parlare, anzi non può parlare, anzi ancora, non deve parlare.
In questo paese, ormai, siamo arrivati al punto di ribadire che chiunque apra bocca lo fa per attestare la propria esistenza in vita, siamo arrivati al punto che prendere parola significa preparare la propria discesa in campo per le elezioni dell’anno prossimo. Siamo arrivati al punto che ci si dovrebbe vergognare di fare politica, forse per non oscurare i troppi corpi di per sé opachi e spenti che si muovono sul palcoscenico della politica locale. Chiunque si permetta di dissentire dal pensiero unico viene additato come colui che è alla ricerca di un piedistallo, di una vetrina. Solo per il sindaco, unto del Signore, è lecito scendere in campo. Sempre. Quasi fosse una questione di vita o di morte. Anzi forse lo è proprio.
In questo paese, ormai, siamo arrivati al punto che per chiunque si permetta di dissentire, c’è un dossier, uno scheletro nell’armadio come quelli che avrebbe tirato fuori in occasione dell’attacco a lei diretto, caro avvocato. Su ciascuno dei non allineati pende un qualcosa di indicibile che si minaccia di rivelare, quando non lo si rivela con un frasario che farebbe impallidire pure i camalli del porto di Marsiglia. Insomma, una spada di Damocle, che non risparmia nessuno né per sesso né per età anagrafica.
Vorrei ricordare a chi tenta di vanagloriarsi di essere stato comunista che essere comunista non significa affatto avere avuto la tessera del partito comunista. Essere comunisti, nell’accezione meno banale e più impegnativa del termine, presuppone un complicato esercizio di etica e di onestà intellettuale come quello applicato nel corso della loro vita pubblica e, soprattutto, privata da uomini come Gramsci, Terracini, Berlinguer.
A chi vorrebbe blaterare di comunismo e del significato di essere leader vorrei, non ricordare perché non lo ha mai saputo, ma semplicemente comunicare che all’indomani dell’attentato a Togliatti, poco dopo la bruciante sconfitta del 18 aprile 1948, con l’Italia nel caos e sull’orlo della rivolta, al leader comunista sarebbe bastato fare un cenno. Il segretario, dal profondo del suo letto d’ospedale ma dall’alto della sua autorevolezza, intimò agli esponenti dell’ala militarista del partito di stare tranquilli, di tornarsene a casa, lasciare perdere l’idea delle armi e soprattutto di non fare gli stupidi. Ma Togliatti aveva l’altezza oltre che l’aplomb del leader e proprio per questo non soleva spargere e incendiare benzina né rinfocolare atti, linguaggi e gesti degni di paesi tristemente noti del foggiano, della locride, della piana di Gioia Tauro.
Una cosa è certa: il nostro non diventerà un paese come quelli appena detti perché i castelbuonesi lo impediranno. E intanto lo impediranno i vergognosi rappresentanti del reddito fisso e delle pensioni immeritate, i negletti e subdoli esponenti del paese virtuale, coloro che hanno studiato e letto libri. Lo impediranno coloro che col loro lavoro hanno contribuito e contribuiscono tutti i giorni a migliorare lo status del paese, del territorio, preparando i professionisti di domani, le future classi dirigenti, semplicemente i cittadini, gli uomini, le coscienze libere e non i parassiti della politica. Lo impediranno, in generale, tutti coloro che amano questo paese e non vogliono perdere il diritto di esprimersi, di fare sentire la propria, tutti coloro che hanno vissuto la politica come risultante di ideali, come strumento per liberarsi e per emanciparsi, come confronto e come esercizio dialettico. Tutti coloro che ritengono che la politica sia un mezzo e non un fine.
Caro avvocato, l’urgenza delle cose è enorme. Bisogna uscire, farsi sentire dando così a quanti non ne possono più il coraggio di rompere il muro del silenzio. E’ l’ora di abbattere i muri. Ora o mai più.
Un abbraccio
Massimo
Grande Massimo, come sempre. Parole sante e vere. Purtroppo tutto quello che dici è la triste verità
Complimenti vivissimi prof. Genchi, Castelbuono ha gli uomini e le donne capaci di riportare in paese quella libertà, e quella serenità di cui il paese ha di bisogno.
Super Massimo la tua onesta INTELLETTUALE da una carica importantissima a questa comunità , condivido in toto quanto scritto .
Mi chiedo se veramente è esistita un tempo quella comunità cui lei fa riferimento, perché se n’è perso perfino il lontano ricordo, tanto è pessima l’aria che si respira.
La decadenza culturale di Castelbuono data dal 1993, l’anno della “rivoluzione democratica” , della presa di potere da parte di forze che dovevano costruire sulle “ macerie” lasciate dalla classe politica che avevano sconfitto con le denunzie del 1992, che poi si risolveranno in una assoluzione piena per gli imputati .
È stato un processo lento, inarrestabile e molti fattori hanno contribuito al decadimento della società castelbuonese, ma la prima radice sta nella delittuosa rottura operata da quei fatti: il paese si è spaccato, nel corpo sociale si sono insinuati paura e diffidenza verso l’altro, prima nell’ambito politico e poi in tutte i rapporti sociali.
Castelbuono aveva un’anima, una identità, si nutriva di memoria e di futuro a tutti i livelli e, fatto importantissimo, a Castelbuono si DIALOGAVA, magari scontrandosi fortemente, ma tutti ( il bracciante , il pastore, l’artigiano, l’impiegato, il professionista, l’universitario…) partecipavano con passione alla discussione sui temi di interesse pubblico, e spesso si approdava a soluzioni condivise.
Ovviamente , anche per tanti altri fattori, ( non solo per colpa della politica) questo non avviene più e l’interesse individuale o familiare prevale del tutto su quello del bene comune.
Ciò che riguarda tutti e, quindi, “ciascuno “è oggetto di totale disinteresse da parte dei più.
Si deve ripartire dalle fondamenta, egregio professore Genchi, occorre davvero un sussulto di orgoglio e dignità da parte di tutti, non contro qualcuno , ma contro un pericoloso e purtroppo ormai diffuso modo di opinare e di agire che si riassume nella frase: “ Ma a mia chi m’ interessa?”
La frase peggiore che si possa udire, in cui si esprimono insieme il disamore per la propria terra, la mancanza di cura per il futuro dei propri figli e la rinuncia alla propria essenza profonda di uomo che è davvero tale solo se realizza pienamente la sua natura di animale sociale, (politicon) come ci insegna Aristotele.
quanto espresso da sociologo è vero, ed è anche una conseguenza di quanto accade a livello nazionale. Poi se mi permette, io ritengo che quella comunità che si evoca e si dipinge sembra come quando Tito Livio, almeno mi par fosse lui, rimpiangeva i re di Roma che governavo da un trono di giunchi. Reminescenze dei tempi del Mandralisca a parte, io ritengo che forse si idealizzi il passato, vestendolo di ciò che non è mai stato. Semmai cosa è cambiata è l’educazione delle persone che oggi fanno politica, sia in senso letterale che in senso lato e culturale. FIglio di trenta anni di esposizione a talk show divenuti combattimenti di galli nel pollaio.
La classe politica precedente aveva fatto altre scuole, altra disciplina, altra educazione anche a casa.Tutto altro. Così pure la sfiducia totale nelle istituzioni, quando una generazione sentiva l’obbligo di impegno nella politica, oggi le migliori teste ne rifuggono come la peste. Veramente, ma:” a me chi mi ci porta?”.
Come dice Giuseppe, si tende sempre a rimpiangere il passato o a mitizzarlo, questo è vero, ed è anche vero ( come accennavo nel mio intervento) che si sono molti altri fattori che hanno portato a questo stato di cose, tra cui il ruolo diverso della scuola e dei media
e se mi è consentito, anche lo spettacolo offerto da moltissimi politici, incompetenti, disonesti, carrieristi … da qui l’equazione politica = cosa sporca …
Ma , nel nostro paese, è innegabile che i fatti del 92 hanno segnato il passaggio da un modo e un mondo politico – pure pieno di storture e contraddizioni, ma dove finiva col prevalere la nozione di bene comune e quindi uno spirito costruttivo- ad un modo e ad un mondo totalmente diverso , dove prevale il proprio “ particolare”.
Questo, almeno, risulta dall’analisi ( confutabile) del sociologo. E anche dalle testimonianze di tutti i protagonisti del tempo che fu, oltre che dai cittadini più attenti e sensibili alle vicende della nostra storia.
Ma non è questo il luogo per un dibattito che sarebbe , questo sì, davvero interessante.