“Debbo rimproverarLa pubblicamente”. Lettera aperta dell’avv. Mario Lupo al Sindaco di Castelbuono

(Riceviamo e Pubblichiamo)
Illustre Sindaco,
debbo rimproverarLa pubblicamente… perché qualche notte fa non mi ha fatto dormire. Mi ero svegliato per motivi personali e… dopo avere espletato alcune faccende, mi sono rimesso a letto. Il sonno però non tornava, perché alcune domande hanno cominciato insistentemente a martellarmi la mente: ma perché il Sindaco, pur essendo dotato di idee grandiose per il futuro (ma quando?) del paese, non vuole un teatro stabile, e insiste a fare una inutile sala multi usi?
Perché nella chilometrica lettera pubblicata nei giorni scorsi, apparentemente diretta ad una degli oltre mille firmatari del Manifesto pro-teatro (fra cui ci sono pure io), insiste a dire di no, dopo di avere elencato tutte le prodezze avvenute dal 1993 in poi (lo sappiamo… il paese è nato appunto nel 1993, quando Lei cominciò ad avere “pieni poteri”, prima come assessore tuttofare e poi come Sindaco…)?
Come fa a ritenere che le esigenze teatrali possano essere soddisfatte da un palchetto mobile da montare e smontare di volta in volta (… come quello dei comizi elettorali in Piazza Regina Margherita…)? Qual è la ragione vera che La spinge a dire no e sempre no ai continui appelli e alle continue documentate proposte anche dell’apposito Comitato che non è un organo politico ma espressione di una ovvia esigenza civica? Forse perché, essendo Lei un riconosciuto, bravissimo teatrante da Oscar, non vuole che altri Le rubino la scena da un palcoscenico stabile destinato a durare nel tempo?
Insomma, perché Lei non vuole assicurare al paese un pubblico e permanente luogo per la crescita culturale del paese e la valorizzazione delle tante energie che, per fortuna, il paese riesce, nonostante tutto, ad esprimere nelle attività teatrali e musicali, nel mantenimento di tante antiche tradizioni?
Per quanto mi sia sforzato per dare una risposta a queste domande, non sono riuscito a trovarla considerato anche che, secondo il mio modestissimo parere, qualunque sia lo stato della progettazione, sia preferibile bloccare tutto e ripartire da capo, anziché sperperare tanti soldi per realizzare un’altra e perciò tutto sommato inutile “sala” multi usi in un luogo che ha ben altri precedenti. (Le raccomando in proposito di aprire, se ancora non lo ha fatto, il libro di Antonio Mogavero Fina “Castelbuono – Sintesi storico-artistica”, da me curato e pubblicato dalla Tip. Le Madonie nel dicembre del 2002. A pag. 30 troverà una bellissima immagine che riproduce l’interno del seicentesco teatro con i nomi delle famiglie che utilizzavano tutti i palchi dei tre livelli prima del 1850).
E mentre il sonno, per colpa Sua, non voleva assolutamente tornare, aspettando invano una Sua risposta, sono stato sopraffatto dai miei ricordi e dal mio passato di ex amministratore (si capisce, quando il paese non era ancora nato… Il tentativo che feci nel 2002 di rinascere alle elezioni, fu da Lei bloccato… anche con l’aiuto di taluni personaggi del mio schieramento…).
Ho ripensato così al vecchio teatro, come io ebbi la possibilità per ragioni anagrafiche di conoscerlo, con la fila dei tre palchi, la sala, e l’ampio palcoscenico. E ricordo che, furbescamente, con la mia statura mai imponente (figuriamoci da bambino…) mi intrufolavo fra le gambe delle tante persone che si affollavano all’ingresso (che era all’angolo del cortile Poggio di San Pietro, quello che si apre, per chi non lo sa…, a sinistra dell’Arco tre-quattrocentesco provenendo dalla via Sant’Anna e alla fontanella pure di sinistra; proprio quella che poi, assieme all’altra fontanella posta a destra dell’arco, fu scelta dalla società privata, a metà degli anni ’50, per dare il nome al nuovo edificio). Riuscivo così ad entrare (i bambini non pagavano) salendo di corsa nell’ultima fila dei palchi, che chiamavamo “la piccionaia”. Assistevo così alle rappresentazioni di compagnie teatrali, alle rappresentazioni in maschera di carnevale (ricordo un “prestigiatore” che venne ad esibirsi e per un numero volle la collaborazione di uno spettatore in sala; scelse un mio parente, col quale seppi poi era d’accordo, ma scelse male e il numero fallì…), ai primi film della mia vita (la macchina di proiezione era situata nel palco di centro della seconda fila; ricordo un film su Zorro interpretato forse da Rossano Brazzi).
Tutto questo fino alla fine degli anni ’40 (del secolo scorso…). Poi, nei primi anni ’50 l’Amministrazione comunale (socialcomunista) decise di demolire il vecchio seicentesco teatro, nonostante le contestazioni di un privato che vantava di essere discendente del proprietario del palco a sinistra di quello centrale, per sostituirlo con un nuovo teatro che consentisse però di essere anche un moderno cinema. E così fu. Ma il teatro stabile continuò a vivere col grande palcoscenico, le quinte, il sipario i camerini, i servizi, la sala leggermente in pendio per consentire la visuale anche agli ultimi posti, un ampio ingresso con i bagni, la pensilina che aumentò il numero dei posti disponibili. E tornarono le compagnie teatrali, i cantanti, i veglioni di carnevale con le rappresentazioni satiriche e i balli e le Miss, gli incontri culturali, le manifestazioni cittadine di rilievo, l’accoglienza a Ministri e al Presidente della Regione, i Consigli comunali straordinari.
Fra i tanti miei ricordi, rimarranno indelebili, le cinque affollatissime serate (25, 26, 29, 30, 31 marzo) del 1961 quando il compianto Padre Minutella, con il compianto Egidio Cusimano e con me, ripropose la recita del “Martorio”, opera in cinque atti che prendeva le mosse dal testo adoperato per analoga rappresentazione negli anni ’30 (tre dei principali attori erano gli stessi: il bravissimo Antonio Cicero, che già da allora, interpretando Gesù, era soprannominato “ ‘u Signiruzzu”; Antonio Mogavero Fina, Giovanni Mitra).
Per finire, illustre Sindaco, so bene che se io non dormo per una notte, Lei ha sempre difficoltà a dormire per i tanti problemi del paese che ha sulle spalle. Ma per dare il teatro stabile al paese e recuperare una plurisecolare tradizione, basterebbe… una sua parola ai progettisti.
Lo faccia. Non si intestardisca a dire di no. Ascolti gli appelli che Le sono rivolti e abbandoni anche l’assurda idea di una strada ai piedi del lato ovest del Castello.
Il paese davvero gliene darà merito… per i secoli futuri.
Cordialmente. Mario Lupo
Carissimo avvocato Lupo, voglio semplicemente complimentarmi, nella speranza che il suo appello venga accolto per il bene di Castelbuono e di tutti i Castelbuonesi.
Ho un ricordo alle Fontanelle, di una rappresentazione. Andavo all’ultimo anno d’asilo o prima elementare… Era uno spettacolo di Cappuccetto Rosso… Non so se qualcuno se lo ricorda. Il lupo era interpretato dal signor Obbole, non ricordo il nome. Quando morì, andai da mia madre e le dissi che era morto il lupo di cappuccetto Rosso…
Ho altri ricordi di bambina, ma questo mi è rimasto impresso perché il “signor lupo” ci permise di accompagnarlo dietro le quinte e noi bambini siamo rimasti meravigliati per quell’ambiente così magico.
Non avevo ancora la televisione a casa…
Signor sindaco, si è ancora in tempo per darci il teatro che chiediamo e che meritiamo.
Caro Avvocato, Mario Lupo, si dice comunemente che non c’è più sordo di chi non vuole ascoltare. La propensione all’ascolto è una delle attitudine più frequenti in persone intelligenti, curiose, desiderose di conoscere e, dunque, colte e consapevoli. Pertanto, chi non “coltiva”, nel tempo, queste peculiari capacità è destinato, progressivamente, ad una “sordità comportamentale” (non “sente” le ragioni degli altri). Non è un caso, infatti, che il sordo, spesso non consapevole del limite che lo affligge, tende ad alzare la voce, ad inveire contro i suoi interlocutori e, nei casi più gravi, passa a delle incontenibili aggressioni verbali. A volte anche volgari ed offensive. Di solito, in questi casi, basta “ascoltare” quello che ci rammenta un vecchio saggio:
” Quando l’ ignorante (sordo compertamentale) attacca con la bocca, il saggio si difende col silenzio”.
Mario Draghi ,nel suo discorso al Senato, ha detto: ” C’è un modo di sprecare il tempo del potere ed è quello di usarlo cercando di fare di tutto per non perderlo” .Queste parole ,chissà perchè, mi vengono in mente leggendo l’appello- l’ennesimo- dell’avv. Mario Lupo al Sindaco di Castelbuono. Mario Cicero, con una sola parola rivolta ai progettisti, potrebbe davvero consegnare il suo nome alla storia di questo paese.
Se non lo farà, ci spieghi almeno i motivi di questo suo ostinato rifiuto, spieghi perchè, secondo quali logiche, dovremmo preferire una sala polifunzionale ad un teatro. Ha il dovere di spiegarcelo.
“Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.
Mi permetto di spiegare ai lettori meno “allitterati” il significato del Suo nikname che la dice più lunga del Suo stesso post. Giusto per rendere onore a Dante, il padre della lingua italiana, questa sconosciuta da parte dell’attuale compagine amministrativa.
Il significato in prosa è più o meno “Questa è la volontà di chi detiene il potere, non chiedere altro” (si vuol così là, dove si può). Nel linguaggio comune l’espressione viene usata per indicare (anche in maniera sarcastica) la volontà di qualcuno che non può essere messa in discussione, cioè l’ordine di un superiore che ha il potere ultimo di decisione, contro il quale ogni lamentela è inutile, sottintendendo quindi una gerarchia inoppugnabile. Il “colà” inteso come luogo dove si decide, assomiglia per analogia a quello dell’espressione della cosiddetta “stanza dei bottoni”.
Da Wikipedia, oggi non serve necessariamente essere professori.
Castelbuono “muore” nel 2002, ucciso dai suoi stessi elettori, che preferendo un Mario ad un altro Mario consegnano il paese alla mediocrità politica per i successivi 20 anni. A prescindere dai candidati sindaci, invito i lettori ad andare a rivedere le liste dei candidati consiglieri di quella fatidica tornata elettorale: alla cultura del candidato sindaco e dei candidati consiglieri, gli elettori scelsero l’ignoranza. Non intendo offendere nessuno, sto valutando i titoli di studio e le intelligenze. Nel 2002 morì quindi la Castelbuono culturale che ci avevano consegnato i nostri avi, non necessariamente laureati, ma anche bravi artigiani e contadini che avevano compreso che attraverso la cultura potevano riscattare la propria condizione sociale (ricordate i sacrifici fatti da tanti contadini ed artigiani per far sì che i propri figli studiassero).
E questo è il risultato: un “cammaruni” al posto di un teatro. Ma anche se è vero che ogni popolo ha il governo che si merita, Castelbuono non merita questo. È solo la conseguenza di una legge elettorale balorda che teoricamente permetterebbe di eleggere un sindaco con il 10% delle preferenze (se ipoteticamente ci fossero 10 candidati). Quattro anni fa furono in 4 e adesso ne paghiamo le conseguenze. Mi auguro che l’anno prossimo siano soltanto in due in modo che vinca la parte migliore del paese, come è giusto che sia, anche con l’attuale legge elettorale.
A questo punto ,dopo le innumerevoli richieste da parte di personaggi dello spettacolo e comuni cittadini , chiederei al sindaco di fare non 1 ma 2 passi in dietro e dare la facoltà ai castelbuonesi di scegliere.
Caro avvocato, nel complimentarmi per la precisa e puntuale rievocazione dei suoi ricordi che, fra l’altro mi hanno dato la conferma su chi ha commissionato il progetto per la demolizione del glorioso Teatro di corte ed alla ricostruzione di questo che, anche dai loro discendenti politici, oggi viene definito “un obbrobrio”
Rimango tuttavia fermo nel mio convincimento che, il tutto va in ogni caso contestualizzato nel periodo in cui è stato fatto. Vale a dire nell’immediato dopoguerra, dopo che l’Italia intera aveva una sola ambizione, quella di distruggere tutto quello che era vecchio e poteva ricondurre a ricordi di stenti e di sofferenze, e sostituirlo con il nuovo che rappresentava il nuovo e quindi il benessere.
Basti pensare al rifacimento della via Vittorio Emanuele (‘a strata longa) ed a tutti i mobili in legno massello presenti in tutte le case, buttati o addirittura bruciati, per fare posto successivamente a quelli in formica.
Nonostante tutto, per molti “l’obbrobrio” rimane soltanto il teatro, non curanti di tutto quanto è stato operato in tutta piazza castello, dove l’unico manufatto degno di nota, naturalmente oltre il castello, è rimasto solamente la chiesa dell’Annunziata. Però è molto più comodo parlare del teatro.
Purtroppo devo confessarle che, a mio modestissimo parere, l’argomento del teatro è lo specchio dell’attuale situazione politica, dove chi viene eletto sindaco si ritiene “padrone” di tutto, anche del tempo in cui è chiamato ad amministrare il comune.
Nei ricordi della sua notte insonne, lei fa riferimento alle elezioni amministrative del 2002, vinte dall’attuale sindaco e lei “bidonato” da una frangia del suo stesso schieramento, da quello che si è capito perché “qualcuno” allora non è rimasto soddisfatto della “spartizione delle poltrone”.
La cosa purtroppo si è verificata anche in seguito, al punto che mi sono fatto un convincimento secondo cui, molti di coloro che scendono in campo, non lo fanno per mettere a disposizione le proprie capacità per amministrare il Paese, ma per la propria bramosia di potere, per non dire altro. Ma ho scoperto l’acqua calda.
Tutto ciò mi fa pensare che non sia stato il signor Mario Cicero a vincere le elezioni, bensì siano stati altri a perderle.
Chissà se in queste occasioni non sia stata proprio Castelbuono a perdere la battaglia se non addirittura la ‘guerra”?
Aggiungo un ultimo pensiero, o meglio una provocazione, sul nuovo progetto del teatro:
Se “per forza” si deve realizzare questo “coso” forse è meglio rinunciare al finanziamento.
Ringrazio “Professore” per la sua opportuna e gradita spiegazione del mio nikname.