Giustizialismo e civiltà giuridica: la replica di Silvia Scerrino all’intervento di Massimo Genchi
Gentile Sig. Genchi,
sebbene non abbia compiuti studi giuridici, mi permetto di opinare sul suggestivo esempio da lei riportato nella recente lettera pubblicata su Castelbuonolive il 23 settembre.
Era il 7 febbraio del 1991, era un giovedì ed erano le 4 del mattino. Come spesso mi accadeva a quei tempi, stavo rientrando a casa dopo una notte passata in studio sul tavolo da disegno (erano altri tempi!). Sebbene fosse notte, vedevo il cielo ingobbito sotto il peso di spesse nuvole grigie: da ore cadeva su Palermo un pioggia sottile sottile che trasformava i suoni in striature e ogni superficie in uno specchio. Purtroppo anche l’asfalto. Stavo percorrendo viale Diana in direzione di via della Favorita e già da lontano vidi lo sfocato lampeggiare blu e rosso di un mezzo d’emergenza all’altezza di viale Ercole: un’auto proveniente da Mondello non aveva percorso la curva d’immissione da viale Ercole a viale Diana, aveva tirato dritto ed abbattuto il muro di cinta che si trova nella corsia proveniente da piazza Leoni (quel muro ha ancora lo squarcio di quella notte: forse anche per questo ricordo ancora, dopo 28 anni, ciò che accadde). Arrivata a ridosso di quel maledetto incrocio, istintivamente aprii il finestrino della mia sgangherata Fiat Uno, come se i carabinieri che vedevo con angosciata sollecitudine intorno all’auto distrutta dentro al muro avessero tempo da perdere per parlarmi.
Sentivo distintamente una voce gridare aiuto da dentro l’auto, e vedevo un giovane corpo accasciato sul volante. C‘era una ambulanza. C’erano i vigili del fuoco. C’era dolore. Improvvisamente un carabiniere si è avvicinato al mio finestrino – ero l’unica macchina ferma in quel punto – e mi ha urlato “mi segua e faccia inversione!”. Nello stesso istante un suo collega aveva aperto il mio sportello passeggeri, e aveva fatto sedere un fagottino scuro accanto a me: una ragazza molto giovane, molto minuta con il viso completamente ricoperto di sangue da cui spiccava il bianco di due grandi occhi terrorizzati. Obbedii, ovviamente: portai quella giovane al pronto soccorso dell’Ospedale Villa Sofia, mentre l’unica ambulanza disponibile alle 4 del mattino del 7 febbraio 1991 a Palermo aspettava di raccogliere i pezzi di altre giovani vite incastrate in un abitacolo.
Quel meraviglioso carabiniere non mi ha chiesto se avevo fatto la revisione della vecchia Fiat Uno, non mi ha chiesto se avevo fatto il rinnovo della patente, né se sapessi adeguatamente guidare e meno che mai ha atteso che ci fosse una ambulanza disponibile: c’era una giovane donna con il viso sfigurato da portare immediatamente al pronto soccorso ed era una priorità e, per fortuna, c’erano e ci sono soccorritori e rappresentanti della legge che non esitano a riconoscerlo.
D’altra parte proprio l’articolo 593 del Codice Penale sulla Omissione di Soccorso, come riconoscono tutti i commentatori, “tutela i beni della vita e dell’incolumità fisica ed è atta ad assicurare l’osservanza di un generale obbligo di assistenza sociale gravante su tutti i consociati.”
Insomma, gentile Sig. Genchi, il dovere della solidarietà sociale non esime nessuno dal prestare soccorso a prescindere dai “requisiti” che ciascuno possa o meno avere per intervenire, e francamente trovo molto più rassicurante questa civiltà giuridica piuttosto che la rigida applicazione di compiti e regole che, nei fatti, garantiscono solo consorterie di categorie. E non scadiamo in volgari ovvietà: se possibile, è meglio essere trasportati in ambulanza in ospedale!
Vede, gentile Sig. Genchi, proprio nel campo della Sanità bisognerebbe portare tutti in galera in un mondo giustizialista: nelle aree di emergenza i malati vanno accolti in appositi spazi allestiti per prestare il primo soccorso, ed ogni medico ha il diritto\dovere di trattare un numero stabilito di casi per volta. Ma se in un Pronto Soccorso ci sono attrezzate due “shock room” e io sono il terzo codice rosso ad arrivare, secondo lei desidero che si applichi la legge e venga spostata in un altro ospedale o mi va bene che il massaggio cardiaco mi venga fatto in corridoio? Ed è rassicurante sapere che sono proprio i medici, quelle straordinarie creature che ogni giorno salvano decine di vite, a dare priorità alla vita e non ai codici, a dare priorità al codice deontologico e non al codice di procedura civile o penale.
E ancora una volta non scadiamo in volgari ovvietà: le leggi vanno sempre rispettate, senza se e senza ma. “Rispettate”, appunto. Se “rispetto” significasse solo ed esclusivamente mera “applicazione” non avremmo bisogno né di magistrati, né di avvocati: basterebbe un potente computer e in pochi secondi ogni verdetto sarebbe pronto. Ho i brividi lungo la schiena a solo immaginarlo!
In ogni caso, gentile Sig. Genchi, le sono grata per avermi costretta a pormi delle domande.
Silvia Scerrino