La recensione del nuovo libro di Santo Atanasio a cura della prof.ssa Rosalba Gallà

(Di Rosalba Gallà) – La scelta di Santo Atanasio di inserire come immagine di copertina della sua nuova silloge poetica l’opera surrealista di René Magritte Il falso specchio è già un indizio della volontà di introdurre il lettore nei percorsi labirintici dell’animo umano. Infatti, nella raccolta Frammenti di un sogno d’estate e altri versi, Gilgamesh Edizioni, 2020, il nostro poeta presenta (a parte alcune sezioni più aderenti a fatti reali) una vicenda sentimentale vissuta in sogno, nel corso di un’estate, quasi una dannunziana Alcyone, in cui l’io lirico si rivolge ad una donna, Marisa, che con la sua “bellezza assoluta” e con la sua “presenza (assenza)” gli “ha fatto riscoprire il grande amore”, ma che ha potuto solo “sfiorare di poesia”. Come l’iride di Magritte rispecchia la realtà fatta di azzurro e nuvole ma, trattandosi di un “falso specchio”, riflette in fondo solo ciò che l’io vuole vedere, probabilmente i poetici frammenti di un sogno estivo di Atanasio risultano più veri di qualsiasi condizione reale: dunque, tutto viene articolato su un piano in cui si incontrano, si sovrappongono, si intrecciano la realtà oggettiva e soggettiva, la coscienza e l’inconscio, la realtà riflessa e la condizione onirica e l’indagine della verità è destinata a smarrirsi nei complessi meandri della mente dell’autore, dell’io lirico e del lettore.

Così, il sogno, già presente nel titolo, è il filo conduttore dei frammenti, nei cui versi è presente un continuo transitare dalla notte al giorno, in particolare ai mattini luminosi, al sorriso azzurro del mattino, e in cui è facile smarrire il limite tra il sogno nel sonno e il sogno ad occhi aperti, riconducibili entrambi ad un bisogno di favola, all’oasi di una favola / tenacemente attesa e alle oasi dorate dei sogni.

I sogni, però, per quanto felici, portano con sé inevitabilmente il dubbio di delirare di fervorosa fantasia e le note di una nenia: quella, troppo temuta, / del disincanto in un giorno avvenire: dubbi e timori che si accentuano man mano che si procede verso la fine dell’estate, verso la fase malinconica dell’autunno e del commiato, come se l’oasi di favola e sogno dovesse concludersi necessariamente con la fine della bella stagione e della permanenza in un’amena località di villeggiatura, in cui la natura fa da sfondo partecipe alla vicenda sentimentale e dove i due protagonisti innamorati presenti/assenti vivono in profonda simbiosi con tutto ciò che la terra di Sicilia offre.  Villeggiava D’Annunzio in Versilia con Eleonora Duse, quando creò i versi di Alcyone che trionfano nel sentimento panico della Pioggia nel pineto; villeggia il poeta Atanasio con la sua musa ispiratrice, antica dea, in un sogno d’estate. Siamo l’ulivo abbarbicato, l’agave, / il frassino da manna, la robinia, / il gelso, i pomodori, i fichi d’India, / il mandorlo, le vigne; e inoltre il mirto, / gli agrumi e il gelsomino d’Arabia sempreverdi: metamorfosi compiuta per due amanti schiettamente innamorati. 

E se già nella dedica il poeta ci suggerisce che ha solo potuto sfiorare di poesia la sua musa ispiratrice, nel corpo della raccolta, accanto ai momenti di assoluta felicità in cui i due innamorati sono frammento dell’anima del mondo, si insinua l’ombra di un rimpianto incessante, di una morte continua, il timore del domani e la struggente consapevolezza di non poter essere come quei due ragazzi che ancora e ancora stanno / a divorarsi di sguardi e di baci / a una svolta di strada… Come non ricordare I ragazzi che si amano di Jacques Prèvert: nel nostro caso, però, non c’è la mediocre banalità sentimentale dei passanti che li indicano con disprezzo, ma lo struggimento di un io lirico che, vivendo la sua storia d’amore solo in sogno, è consapevole che lui e la sua donna saranno lontani uno dall’altra e che potranno divorarsi e / di baci e di sguardi / soltanto in questa rima.

È vero, però, che la donna cantata dal poeta, Marisa, assume di tanto in tanto una fisionomia più realistica, come se uscisse dal sogno e diventasse una vera donna, quasi a riempire incredibilmente i giorni deserti del poeta innamorato: così lei diventa sfinge.

Donna celeste, lei
                                                    (occhi e sorrisi
                         carichi di bellezza lontanante) –
donna carnale, lei
                                                  (ferventi i seni,
                      di seduzione saporiti i fianchi).

Sfinge, dunque, essere misterioso, enigmatico e indecifrabile, fortemente simbolico, che racchiude in sé due aspetti contrastanti, quello dello spirito e quello dei sensi: così è la dea ispiratrice del poeta, assente ma presente, presente ma assente, forse vista solo in sogno, forse in una realtà riflessa, in uno specchio forse vero o forse falso.

È una storia difficile, la nostra,
una storia di sogni e di sorrisi
che però ci preclude
la gioia e la passione dell’amore.
La nostra storia è strana
è altalenante tra presenza e assenza
fascinazione e angosciosa ricerca.

Ciò di cui il poeta è certo è che alla donna deve questo tempo di armonia, le deve questo amore-primavera che ha voluto sussurrare anche a noi lettori con ricercata metrica e il suo verseggiare elegante, in cui ogni parola ha un peso evocativo e ogni spazio bianco nella pagina un contenuto di emozioni e dove l’intervento anche di termini tratti dalla quotidianità crea un equilibrio perfetto con la tradizione alta della poesia.

Sono passati oltre cinquant’anni dalla prima silloge di Santo Atanasio, Monodici canti: un lungo percorso costellato di tante raccolte in cui la poesia è stata sempre vissuta come una necessità esistenziale, un mondo di sogno e di sogni, di memorie e di speranze, una ricerca di perfezione che dà un senso all’essere al mondo, una forza rasserenante che allontana i dolori della vita, nell’oasi d’una favola / dove io non sono, dove lei non è.

La Poesia, dunque, Donna desiderata e amata dal poeta, è un rispecchiamento della realtà? Oppure è un sogno, una favola, un’oasi di salvezza? Riflette le nuvole nel cielo azzurro dell’iride di Magritte o anela a quel cielo? È assenza o è presenza?

Lei effimera
e salda nel mio cuore,
lei soccorso
generoso ai miei limiti e difetti,
lei bellezza perenne,
lei principio di morte
e di risurrezione.
È qui per me,
è in questo rifiorire tutt’intorno,
lei che di sacro amore mi nutre in sogno o in veglia,
lei: la Poesia.

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