L’analisi del voto di Maurizio Cangelosi. “La vittoria di Pirro ovvero, come vincere una battaglia e perdere la guerra”
Pirro, re dell’Epiro, sconfisse i Romani più volte ma a prezzo di perdite tali da far diventare la vittoria incipit della sconfitta definitiva.
Ma che c’entra Pirro e le sue vittorie sofferte con Castelbuono? C’entra, c’entra. Se non per analogia fattuale, sicuramente per affinità analogica. Qualche mese fa a Castelbuono si è consumata una metaforica guerra a sinistra per la candidatura a sindaco (sottacendo i sussurri di chi sostiene che si sia trattato, piuttosto, di una guerra sinistra) tra l’attuale primo cittadino, Mario Cicero, e la vincitrice delle primarie di Andiamo Oltre, Lia Romè. Qui non analizzeremo più la guerra in sé ma il fatto che sia stata genesi di un’onda lunga, arrivata fino alle recenti elezioni politiche e, probabilmente, che andrà oltre (d’altra parte … non poteva che essere così, considerato il movimento da cui si è originata).
Riteniamo opportuna una premessa: tutto sommato, non avremmo malvisto l’elezione al senato di un castelbuonese che poteva rinverdire i fasti del passato; secondo questo punto di vista quindi, non possiamo dire di essere stati tra i più feroci oppositori della candidatura di Cicero alle politiche.
Andando all’argomento che vogliamo trattare, abbiamo già avuto modo di dire che, senza alcun dubbio, il vincitore di quella guerra metaforica è stato l’attuale sindaco di Castelbuono. Ma a quale prezzo? Il prezzo immediato (dare soddisfazione ai tanti che speranzosi contribuirono all’impresa e reclamavano qualcosa) lo abbiamo riportato a suo tempo. C’è però un altro prezzo, per il quale nessuno reclama ma che ha condizionato i comportamenti attuali, che è di difficile saldo: è il prezzo delle speranze deluse, dei legami interrotti, dei principi calpestati, dell’orgoglio ferito, insomma degli ideali di una vita sacrificati con noncuranza nel falò delle vanità del potere e del volere ad ogni costo. E’ questo prezzo la materia dell’onda lunga arrivata fino alle elezioni politiche. E siamo convinti che poteva essere evitato con più costrutto.
Per chiarire meglio questo prezzo e spiegare le due chance parallele (quella che si è verificata e quella che avrebbe potuto verificarsi), adottiamo due figure cinematografiche: il flashback, che fa ripercorrere il tempo già trascorso, e quella delle dimensioni parallele, che fa vedere i fatti relativi a un protagonista, con due chance diverse, ognuna delle quali produce fluire e risultati distinti; per intenderci quest’ultima è quella magistralmente sviluppata nel film Sliding doors. Il flashback ci porta al 5 febbraio 2017, quando le primarie di Andiamo Oltre, come movimento di sinistra che includeva e legittimava tutte le forze progressiste di Castelbuono, decretarono legalmente che Lia Romè era il candidato del movimento. La doppia chance di Sliding doors parte dal giorno che precedette la raccolta delle firme per la candidatura di Cicero come sindaco, cioè uno o due giorni dopo la data del post su facebook con il quale l’attuale sindaco accettava la vittoria di Romè alle primarie di Andiamo Oltre, diceva – seppure a denti stretti – che il risultato era stato frutto di un “serio processo democratico” e si metteva a disposizione purché gli si indicasse il ruolo che doveva giocare. Mettendoci immediatamente prima degli eventi che portarono alla raccolta delle firme, l’analogia con il film Sliding doors paragona:
- La chance della realtà effettiva “Vengono raccolte 723 firme per Mario Cicero Sindaco e Cicero si candida” con la chance “Helen prende la metropolitana” di Sliding doors
- La chance “NON vengono raccolte firme per Mario Cicero sindaco e Cicero sostiene Lia Romè”, che appartiene ovviamente solo alla sfera della pura speculazione con la chance “Helen perde la metropolitana” del film
Prima chance parallela: “Vengono raccolte le firme”. Questa chance, quella della realtà effettivamente vissuta, sappiamo tutti come è andata a finire. Mario Cicero eletto sindaco in modo quasi plebiscitario ma bruciando la terra a sinistra. Talmente che la sua candidatura con il PD alle politiche, imposta probabilmente da un potente alleato, è stata vista, sia dalla base che dal direttivo locale, come una inaccettabile forzatura dall’alto. E nell’affermare ciò trascuriamo, perché manifestamente artificioso, il forzato e parziale endorsement operato in un secondo tempo dalla direzione del PD alla candidatura Cicero al Senato, su spinta di alcuni notabili locali che aspettano eternamente il Godot di Beckett (notabili che qualcuno definirebbe non “compagno z” ma piuttosto chistiani ‘i ‘ntienti). Il risultato a cui è pervenuta questa chance reale, è un profondo malessere nella sinistra locale. E ciò è facilmente riscontrabile raffrontando i macro numeri delle due elezioni. Infatti, confrontando i voti ottenuti dal candidato e dalle liste correlate l’11/6/2017 e il 4/3/2018 (figura seguente) è evidente il malumore della sinistra ma anche quello di buona parte dell’elettorato che ha votato il sindaco alle comunali.
Infatti:
- I voti potenziali della sinistra si sono ridotti dai 1342 di Andiamo Oltre delle ultime comunali ai 649 del PD alle recenti politiche. Ciò conferma, senza se e senza ma, i malumori della sinistra: più di metà di essa non ha accettato né l’imposizione dall’alto né, tanto meno, il patetico afflato di fratellanza del “compagno z”
- I voti di preferenza diretti al candidato sono passati da 2.465 (comunali) a 1246 (politiche). Ciò conferma, senza se e senza ma, che buona parte dell’elettorato che votò per Mario Cicero alle comunali non lo ha votato alle politiche: così ha fatto quasi la metà di quell’elettorato “amico” (1.219 su 2.465)
Ci sarebbero tante altre analisi e valutazioni da fare, ma le lasciamo al candidato e al suo staff, nel caso volessero fare davvero tesoro degli errori ed iniziassero una autocritica costruttiva del risultato del voto. Qui ci preme invece capire dove poteva portare la seconda chance parallela che abbiamo congetturato.
Seconda chance parallela: “NON vengono raccolte le firme e Mario Cicero sostiene Lia Romè”. In questa chance (congetturale) Mario Cicero avrebbe dovuto sostenere la candidatura di Lia Romè che, molto verosimilmente, sarebbe stata eletta sindaco di Castelbuono. Cicero avrebbe guadagnato preziosi crediti di stima, affidabilità, lealtà e credibilità, soprattutto nella sinistra locale ma anche in quella siciliana in generale, oltre che negli elettori appartenenti ad altri schieramenti locali, dato che poteva più facilmente essere percepito come il “senatore del paese”. Avrebbe saldato qualsiasi conto aperto con il PD, riabilitando la sua figura di antico militante. Molto probabilmente la sua candidatura al Senato, stante questa congettura, sarebbe stata una naturale conseguenza sia del suo percorso di rientro che delle sue caratteristiche – innegabili – di macchina da voti. Non più una imposizione dall’alto difficile da accettare ma qualcosa di digeribile (anche per il “compagno z” che, invece di sfogare il proprio mal di pancia con pianti da coccodrillo, avrebbero potuto risolverlo con una più efficace e gratuita alka-seltzer). Quasi sicuramente Cicero avrebbe potuto incassare, a Castelbuono, da 3.500 (solo i teorici possibili secondo la tabella di sopra) a 5.000 (teorici possibili amplificati dall’effetto “senatore del paese”) voti e avrebbe probabilmente triplicato la quota di voti in molti comuni madoniti, adottando l’ulteriore accorgimento – invero a lui non molto consueto – di mantenere una coerenza meno temporanea verso gli alleati.
Qualcuno obietterà che anche adottando la seconda chance parallela Cicero non sarebbe potuto sfuggire alla tabula rasa voluta per il PD da Renzi (che, per inciso, ci ha dato l’impressione di voler perdere a tutti i costi queste elezioni politiche, anche oltre le difficoltà contestuali che indubbiamente si palesavano. Ma questo eventualmente è materiale per un’altra storia). A chi muove questa obiezione rispondiamo che, sic stantibus rebus, è plausibile – ma non certo – che Cicero non sarebbe stato eletto lo stesso al Senato ma con differenze non da poco, perché:
- Non si può escludere che, nell’ambito della seconda chance parallela “NON vengono raccolte le firme” il PD avrebbe potuto offrire a Cicero una candidatura meno capestro di quella uninominale avuta nella realtà: si sarebbe così avuto – in questa chance congetturale di accettazione della candidatura di Romè – un candidato che aveva dato prova di fedeltà ai principi ed ai patti, un candidato che aveva un buon bacino elettorale ed era capace di coagulare attorno a sé persino elettori di bacini diversi, un candidato che era capace di parlare, se non allo spirito, sicuramente alla pancia della gente – e i partiti sanno quanto questo sia importante –. Pertanto vediamo come ipotesi concreta quella di Cicero candidato dal PD al plurinominale, dove avrebbe potuto giocarsela alla pari con altri candidati
- Ammesso e non concesso che l’ipotesi di cui al punto precedente non si fosse potuta avverare, Cicero con la chance “NON vengono raccolte le firme” avrebbe sicuramente avuto un risultato di voto migliore e avrebbe potuto accrescere ulteriormente i crediti di fedeltà, affidabilità, credibilità, ecc. verso il PD, ottenendo, a buon diritto, un occhio di riguardo sia nelle prossime europee sia nella (probabile) rifondazione che dovrà avvenire per i quadri dirigenti del PD
Siamo fermamente convinti che questi due punti siano eventualità più che verosimili.
Purtroppo Cicero non conosce la storia di Pirro che, da intelligente stratega qual era, ai suoi generali che si congratulavano con lui per la vittoria ottenuta a un prezzo troppo alto, disse saggiamente: “Un’altra vittoria così e sarò perduto”.
Per concludere giusto 2 parole in merito alle ultime politiche. Non ci dilungheremo in analisi e valutazioni contorte (per questo bastano i tromboni televisivi che ogni giorno ci dicono tutto e il contrario di tutto con giravolte di 360°). Diciamo solo la nostra con un po’ di realismo:
- Le elezioni le hanno vinte M5S e Lega (nell’ordine). Chi contesta questo (ma mi pare non ci sia nessuno) lo fa sapendo di mentire.
- E’ difficilissimo arrivare ad un governo con una maggioranza effettiva. Quella meno improbabile mette insieme, ipoteticamente, il M5S con il PD e (forse) LeU: è vero che i due maggiori esponenti di questa ipotetica alleanza hanno costruito la campagna elettorale denigrandosi l’un l’altro. Ma si sa, il tempo è galantuomo (ed anche di bocca buona quando l’obiettivo è governare) e sono già in tanti, in entrambi gli schieramenti, a cercare questa soluzione. Senza pensare che si potrebbero soddisfare le coscienze più integraliste con un capro espiatorio (vedi punto successivo)
- Le elezioni le ha perse prima di tutto Renzi (con scelte scellerate, cominciate l’anno scorso). Democrazia, logica, saggezza ma anche ragionevolezza vorrebbero che Renzi non promettesse soltanto di dimettersi, ma più concretamente, si dimettesse dando prova, finalmente, di avere a cuore il bene del PD. Tra l’altro, così facendo, sarebbe ottimo capro espiatorio (2 piccioni con una fava), da offrire alle coscienze integraliste del M5S con l’accezione che la campagna contro di loro era stata voluta proprio da Renzi (e non sarebbe nemmeno una motivazione lontana dalla realtà)
- Si può speculare, come governo possibile, anche su una alleanza M5S–Lega o, ancora più difficile, M5S–centrodestra. Però con la sola Lega non ci sembra che si arriverebbe alla maggioranza in entrambi i rami del parlamento; con tutto il centrodestra, onestamente e fermo restando che la politica ha sempre dimostrato di saper ingoiare rospi anche più grossi, ci riesce difficile pensare a come cucinare insieme “Il diavolo e l’acquasanta” e come le coscienze critiche dei due schieramenti possano rendere ingurgitabile il boccone
La parola passa quindi a Mattarella a cui è il caso di dedicare con tutto il cuore il titolo del libro di M. D’Orta e del film di L. Wertmuller: “Io speriamo che me la cavo”.