Le Fontanelle: la controreplica del prof. Orazio Cancila all’arch. Iano Monaco

Di seguito la controreplica del prof. Orazio Cancila all’arch. Iano Monaco. Il tema centrale resta la destinazione d’uso del cine-teatro Le Fontanelle, argomentata con accadimenti storici inerenti scelte architettoniche e urbanistiche del recente passato.

Egregio architetto Iano Monaco,
innanzitutto La ringrazio per la cortese risposta alla mia precedente. Non ho seguito in passato il dibattito sulla ristrutturazione del teatro e non ne conosco perciò con esattezza i contenuti, anche per la mia ignoranza nel settore. Sull’argomento non ho alcuna competenza e non ho indicazioni da dare a nessuno. L’impressione che ne ho ricavato è che – più che a un teatro che possa servire, oltre che per le rappresentazioni teatrali e cinematografiche, anche per convegni e manifestazioni culturali e politiche – si pensi piuttosto a un contenitore buono per qualsiasi avvenimento (matrimoni, battesimi, ricorrenze private, ecc.), come appunto era un tempo “u cammaruni” di via Garibaldi. E sinceramente questo non mi piace. E ho temuto che il ricorso alle espressioni  “teatro di corte” e “teatrino” fossero funzionali all’attuazione di un tale progetto.

Lei mi chiede di indagare su come «sia stata possibile, nella prima metà degli anni ’50 del secolo scorso, la demolizione, d’un colpo, dell’antico teatro della popolazione di Castelbuono, sostituito dall’orribile corpo di fabbrica che ancora oggi mortifica l’equilibrio architettonico e la dignità estetica di piazza Castello, proprio innanzi all’austero edificio che alla città dà il nome». Mi affido ai ricordi. Negli anni Cinquanta l’Italia si stava lentamente riprendendo dalla guerra e chi poteva buttava i vestiti logori sino ad allora indossati per i nuovi. Il vecchio ricordava la miseria, il nuovo la speranza di un futuro migliore. Il vecchio era brutto, il nuovo era bello. Il vecchio teatro comunale dai primi anni Venti del Novecento fungeva anche da cinema e nella seconda metà degli anni Quaranta vi si rappresentavano l’annuale Veglione per Carnevale (esiste una bella foto del 1948) e parecchie commedie con attori locali.

Il locale era certamente in pessime condizioni e come cinema lasciava a desiderare, perché le vecchie pellicole si rompevano e l’operatore era costretto a frequenti tagli, i cui spezzoni noi ragazzi raccoglievamo nelle vicinanze, sperando di ritrovarvi le immagini delle attrici più note. Appena se ne presentò l’occasione nei primi anni Cinquanta, non parve l’ora di dismetterlo, assieme ai vecchi abiti, per uno più nuovo che si credeva più bello. E così il 19 marzo 1955 giorno di San Giuseppe – tra il tripudio della popolazione e delle autorità civili e religiose, presenti in gran numero alla inaugurazione – decedeva il vecchio teatro comunale e nasceva il nuovo “cine-teatro Le fontanelle”: la precisazione delle due denominazioni è necessaria, perché ho notato che parecchi castelbuonesi, anche professionisti, sono convinti che il locale adibito a teatro si fosse da sempre chiamato “teatro le fontanelle”.

Anche a Petralia Sottana si realizzava contemporaneamente una trasformazione analoga: l’ottocentesco teatro Grifeo, costruito nel 1862 in sostituzione del vecchio magazzino della rabba (granaio pubblico), con tre file di palchi, era demolito e trasformato in un cine-teatro che mi ricordava “Le Fontanelle”. Erano gli anni della distruzione a Palermo delle ville liberty di via Libertà e a seguire di quelle di via Notarbartolo, all’insegna dello slogan limiano «Palermo è bella, facciamola più bella!»: anni passati alla storia come quelli iniziali del sacco di Palermo. A ragione, il giornalista Mario Farinella alcuni anni dopo (1969) poteva rilevare polemicamente come «non tanto ai Lima, ai Ciancimino, ai Gioia, ai Matta [e ai loro predecessori, è opportuno aggiungere], la cultura chiederà conto di tanto scempio, quanto a quegli intellettuali (e non sono pochi) che di questa gente si son fatti complici per lucro o per quieto vivere, per ignavia o per conformismo».

A Castelbuono il ceto intellettuale era costituito soprattutto da insegnanti elementari, tre avvocati, pochissimi docenti medi, un ingegnere fresco di laurea (che sarà poi sindaco) e numerosi studenti universitari, parecchi dei quali fuori corso. Nessun architetto, ma soltanto qualche geometra. E perciò sino all’approvazione nel luglio 1969 del programma di fabbricazione da parte del Consiglio comunale, si è colpevolmente trascurato non solo il controllo dell’espansione dell’abitato post seconda guerra mondiale, ma si è anche trascurata la conservazione del patrimonio edilizio ecclesiastico, che tanti tesori d’arte raccoglie: penso all’abbandono della chiesa del Monte di via Sant’Anna e alla demolizione del suo bellissimo campanile; alla trasformazione della chiesa-ospedale di Sant’Antonio di piazza Matteotti in un anonimo edificio; alla analoga trasformazione della sacrestia della chiesa del Crocifisso di via Umberto (un tempo chiesa di San Pietro, la cui antichità risaliva a Ypsigro) e a quella della chiesa di San Sebastiano di piazza San Francesco. Penso anche alla trasformazione negli anni Sessanta del palazzo comunale in un orribile edificio (l’appalto è del 18 novembre 1965); alla demolizione dell’arco dietro il castello, dell’arco di San Paolo, dell’arco in parte diruto della Salita al Bosco e della limitrofa cortina di mura che chiudeva a sud l’antica Castelbuono, demolizione che ha coinvolto anche la chiesetta della Madonna della Pietà, ubicata tra l’arco e la chiesa del convento cappuccino (Santa Maria degli Angeli), che nel 1927 i Guerrieri, che ne erano da sempre proprietari, avevano donato proprio ai frati. E certamente dimentico qualcosa.

L’amministrazione comunale aveva anche progettato la demolizione dell’ex carcere di piazza Margherita e la costruzione al suo posto di un nuovo edificio destinato a sede dell’Assistenza sociale, il cui appalto dei lavori nel maggio 1972 era previsto per fine mese. La costruzione a fine Settecento del carcere nella platea puplica o platea magna (attuale piazza Margherita), in sostituzione della secentesca casa di città, aveva provocato nella popolazione forti malumori e periodicamente, nei quasi due secoli successivi, se n’era auspicato il trasferimento, più volte effettivamente tentato dalle autorità e mai portato a termine. Ormai però, negli anni Settanta del Novecento, l’edificio carcerario faceva parte della piazza, ne costituiva un elemento essenziale, la cui demolizione avrebbe alterato profondamente l’immagine che di essa ogni castelbuonese che lascia il paese porta con sé. Sorse così una forte opposizione dell’opinione pubblica e della Pro Loco, di cui era presidente il poeta Giuseppe Mazzola Barreca, che convinse l’amministrazione municipale a cambiare parere, destinando l’edificio ad altri usi ed evitandogli di fare la fine del vecchio teatro comunale. Maturava finalmente una nuova mentalità, un modo diverso di considerare la propria storia e il proprio passato, la cui prima manifestazione è forse da individuare nell’azione del movimento dei giovani universitari di Sinistra, che nel 1970 riuscirono ad avere un ruolo fondamentale nella sistemazione del viale dietro il castello.

Spero di essere riuscito a soddisfare la Sua richiesta. A conclusione, Le chiedo vivamente di fare di tutto perché il nuovo edificio sia soprattutto un teatro o meglio un cine-teatro. Per quanto io ricordi, il vecchio edificio de “Le Fontanelle” non dispiacque e, per alcuni decenni, fu ampiamente utilizzato come cinema e per spettacoli teatrali e musicali. Nessuno fece allora caso al volume eccessivo del fabbricato, forse perché già piazza Castello era stata alquanto deturpata dalla recente costruzione di abitazioni private, tra cui, proprio ai piedi dell’antico maniero, l’attuale casa La Grua, appena innalzata nel 1946, quando il benemerito Istituto privato Sant’Anna vi aprì la sua sede. Oggi da alcuni si vuole completare l’opera con la demolizione totale, ab imis, dell’ex cine-teatro: significherebbe trasformare l’antica corte chiusa e raccolta ai piedi del castello in uno spazio aperto, con una ulteriore alterazione dei luoghi che reputo senza senso e priva di qualsiasi giustificazione storica. La maestosità del castello è tale che l’attuale edificio del cine-teatro  non riesce a comprometterla, ma è indubbio che essa risalterà ancora di più se, come tutti auspichiamo, si riuscirà a ridimensionarne il volume. Personalmente, auspico anche che, a lavori ultimati, la struttura ritorni a denominarsi “teatro comunale”. Buon lavoro e cordialità,

Orazio Cancila

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