Le Fontanelle, l’idea-progetto dell’arch. Nicolò Piro

Musica e Architettura di Nicolò Piro

(Riceviamo e pubblichiamo) – Pensare in termini di Musica e Architettura significa entrare nel vivo di quella Cultura che deve conquistare il cittadino in maniera totalizzante e di questo processo deve farsi carico la Politica. Non è stato il caso dell’ ennesima riedizione del dibattito sul tema della ristrutturazione/demolizione e ricostruzione del Cine-Teatro „Le Fontanelle“ che, tanto per collegarmi idealmente al capolavoro di Giuseppe Tornatore, ho inteso dare all mia „idea-progetto“ di demolizione e ricostruzione la dizione di , laddove per „pro-getto“ (per/pro il „getto“, l’ idea che si sprigiona dal pensare e viene trasferita sulla carta speciale per lo schizzo per essere modellata e rimodellata), strictu sensu. Per Martin Heidegger „ent-wurf“, laddove l’ „ent“ è il „pro“ e „wurf“ il „getto“, deve intendersi quel breve momento creativo o idea „prima“ che si materializza in uno schizzo, che, poi, si concretizza nel „planning“ alla scala grafica 1:200, per concludersi, dopo l’ elaborazione grafica alla scala 1:100, agli esecutivi di cantiere alle scale grafiche 1:50 per le planimetrie, alzati e sezioni, ed alle scale grafiche da 1:10 . . . 1:20 fino a 1.1, se necessario, dei particolari costruttivi. Un processo complesso, insomma, che il CAD più raffinato non potrà mai sostituire nella sua essenza e che, di conseguenza, ben si coniuga con il

Cosa di più stimolante e coinvolgente sarebbe stata l’ istituzione di un laboratorio di architettura perorato dalla locale associazione Città e Territorio ed organizzato dal Comune di Castelbuono, dal Dipartimento di Architettura dell’ Università di Palermo e dalla Camera di Commercio di Palermo! Invece un coro a più voci cui meno è venuta una regia coordinatrice che come prima cosa avrebbe posto se non un limes, almeno un freno ad un divagare all’ infinito dal quale ancora non è possibile trarre un’ idea chiara su aspeti quali volontà, preesistenze, fattibilità, costruzione e finalità, e chissà quant’ altro, ancora.

Sul piano specifico, affrontando il tema dello spazio pubblico – scena urbana nella sua plurima accezione – e connessioni relative, il rapporto tra musica e architettura nella teoria estetica, viene ricondotta alla teoria pitagorica nella musica e nell’ architettura dall’ antichità al Medioevo. Sul piano più generale – speculativo, di teorie e/o suggestioni – si sono sempre riproposte riflessioni e confronti sulla linea di quel vasto orizzonte del rapporto musica/architettura tramandate da quasi tremila anni dalla storia e dalla filosofia culturale cinese, egiziana e soprattutto greca, donde seguendo questa comprensione, si scopre che la musica e l’ architettura sono fondate su strutture di ordine che si possono esprimere sotto forma di relazioni numeriche e che trovano le loro esemplicazioni speciali nella teoria dell’ armonia musicale e della teoria della proporzionalità architettonica, come ho potuto verificare nel corso della mia esperienza progettuale per la ricostruzione del ponte-viadotto di Genova.

E se nell’ antichità, la teoria dell’ armonia pitagorica è considerata una misura universale della composizione musicale e derivata da essa come misura del design architettonico, si può affermare che fino alle soglie del Novecento, tenuto saldo il suo costrutto di sistema formale e musicale le cui regole hanno costituito il corpus disciplinare della composizione architettonica, dopo la grande rivoluzione del moderno diventa necessaria qualche riflessione su musica e architetura e così spostare nuovamente l’ interesse sui sistemi formali che sono stati precipui della cultura del del XX secolo per porre la domanda: l’ architettura può fare a meno di un rigoroso sistema di formalizzazione? Il progetto di architettura può fare a meno della composizione architettonica ispirata dalle leggi immutabili dell’ armonia? E allora il riferimento ai Pitagorici non può che essere necessario per capire come le armonie numeriche si manifestassero già sia nella costruzione dell’ intero cosmo che nella struttura dell’ anima umana e che la prima applicazione dell’ armonia pitagorica in architettura è registrata dal trattato di Vitruvio De architettura libiri decem del I secolo a.C. in cui sono destinati a servire la formazione di proporzioni di successo di oggetti artigianali al punto che Vitruvio ha anche chiesto che l’ architetto fosse adeguatamente educato a conoscere la musica allo scopo di fare proprie le regole che compongono l’ architettura contenute nelle due triadi dell’ ordine (taxis:ordinatio, dispotio, eurytmia) e della norma-tipologia (oikos-nomia:symmetria, decor, distributio).

Ecco, pertanto, come il fil rouge sotteso tra antichità e il Romantiismo tedesco porta Goethe a raccontare il suo viaggio italiano da Roma, il gioco delle delle linee, le „molteplici linee orizzontali e mille verticali“, lo aveva deliziato „spirito e occhio come una musica silenziosa“; F.W. Schelling, il filosofo, vedeva l’ architettura come „musica solidificata“, e Schopenhauer credeva che „l’ architettura è musica congelata“, per aggiungere come, da Pitagora ad Aurelio Agostino, la parola „harmonia“ – che ha la sua origine in greco – significhi adattamento, connesione, unione di cose diverse o opposte a un’ interezza ordinata stia ad indicare la traccia del percorso che conduce all’ archè che, a sua volta, trova la sua conclusione (o si tratta di illusione?) allorché la mente umana va oltre il „sensibile“ e supera le immediate sensazioni per conoscere „con l’ inteletto“. Una conoscenza resa possibile in quanto ciò che esiste è opus d’ artefice (ahinoi a grande rischio di integrità!) e nello stesso tempo creazione dotata di leggi proprie, di ordine e di armonia insite al concetto di cosmos e non di caos.

Insomma, Vitruvio ha avuto proprio ragione nel chiedere anche ai costruttori di conoscere la musica. Poiché la musica rivela loro l’ armonia delle proporzioni, insegna loro simmetria ed euritmia (equalmisura), aspetto aggraziato e struttura significativa di un edificio che diventa (o può diventare) anche „opus“.

Donde l’ urgenza alla riflessione come accostarsi ad una preesistenza storica ed architettonica semplice, ma possente quale il Castello dei Ventimiglia, in primis procedendo alla sua messa in sicurezza (il muro di pile o pali „tangenti“) imposta dalle leggi della geotecnica, indi pensare alla „pelle“ della nuova struttura che, per me, altro non può essere che l’ acciaio strutturale „Corten“, il quale, a differenza degli acciai non legati, ha una resistenza molto più elevata alla corrosione naturale nella nostra nostra inquinata atmosfera. Infatti sotto l’ influenza delle intemperie, si forma uno strato superiore solido e impermeabille che rallenta il processo di ruggine. Si, proprio quello strato che conferisce,grazie al suo colore opaco, a questo materiale per facciate il suo fascino particolare e puristico che permetterà un dialogo sincero con l’ arenaria del maniero.

Il tutto in una coordinata operazione dove devono incontrarsi meticolosità e responsabilità, curiosità e coraggio, contributi di specialisti di geologia, calcolo strutturale, acustica, fisica tecnica, impianti tecnologici, risparmio energetico, innovazione, volenterosi tecnici locali e autonomia gestionale.

Lo studio di fattabilità in corso di redazione fornirà informazioni nel dettaglio ed io, dalla Germania, sono a disposizione. La mia gratitudine ad una critica costruttiva e suggerimenti alla mia „idea-progetto“.

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