Lettera aperta di Enzo Sottile al Sindaco

Il Gruppo T sul palco delle Fontanelle con “L’uomo nudo e l’uomo in frac” di Dario Fo, prima rappresentazione 18 marzo 1978

(riceviamo e pubblichiamo)

Egregio signor Sindaco, caro Mario,

mi convinco solo adesso a interrompere il mio silenzio e partecipare al dibattito sul teatro Le Fontanelle.

Il mio è, come sempre, libero da ogni forma di appartenenza, il pensiero di un cittadino che ha a cuore le sorti e il futuro del suo paese e per questo auspico l’assenza, da parte di chiunque, di ogni tipo e forma di strumentalizzazione.

Anche io ho firmato il manifesto per il teatro.

Ormai sappiamo tutti che la vitalità culturale dei castelbuonesi affonda le sue radici anche su un substrato teatrale, antico e contemporaneo, in prima istanza per il fatto di avere a disposizione un edificio teatrale tale da consentire rappresentazioni tutto l’anno.

A partire dall’antico teatro dei Ventimiglia, costruito sulle mura della preesistente chiesa di san Filippo del XV secolo, al teatro con tre ordini di palchi dell’ottocento e, infine, al Cine teatro Le Fontanelle che, con il baglio grande del castello, è stato da sempre luogo di grandi eventi culturali. Dalle recite delle accademie letterarie, fra cui gli Inganni d’amore di Vincenzo Errante, alle rappresentazioni come l’Arruccata di li Vintimiglia e altre, fino all’Ypsigrock Festival e al Jazz Festival.

Il cine-teatro Le Fontanelle è stato per noi, alla fine del secolo scorso, certamente un elemento di stimolo fin dal suo nascere, come teatro, teatro di varietà, luogo di satira con i Veglioni e come cinema, in un momento storico in cui non esisteva la televisione se non in qualche sparuta sezione di camera del lavoro. Questo luogo, pregno di memoria, deve essere salvaguardato in quanto radice culturale della nostra comunità.

Il teatro, come noi lo abbiamo conosciuto e frequentato, giustamente definito ecomostro (per volumetria ed estetica) è stato, da un cinquantennio a questa parte, oggetto di dibattito pubblico al fine di individuare, assieme all’intera area castellana, possibili soluzioni di riqualificazione ambientale e architettonica (è utile richiamare anche la mia ipotesi di arredo museale e riqualificazione dell’intera area castellana, del 2003, presentata al pubblico in più occasioni). Ricorderà sicuramente, signor Sindaco, l’istituzione, già in passato, di commissioni di esperti che analizzassero e valutassero proposte pertinenti per progetti di salvaguardia, valorizzazione e riprogettazione di uno spazio pubblico così fragile e vitale per la storia dei luoghi: un’indagine del genere deve necessariamente coinvolgere non solo il gruppo di progettazione incaricato ma anche storici, storici dell’arte, artisti, intellettuali e archeologi.

Non c’è dubbio, dal mio punto di vista, che il nuovo teatro debba essere riprogettato e costruito sulle ceneri di quello vecchio: sbaglia chi sostiene che il vecchio edificio possa essere restaurato. Un volume del genere, impertinente e offensivo per il luogo, ha bisogno di essere ripensato in termini funzionali e volumetrici. Ma sento anche l’obbligo di spezzare una lancia, per amor di giustizia, a favore del tanto vituperato “ecomostro”. Non bisogna dimenticare il periodo storico in cui è stato progettato e costruito che, se si esclude l’eccessivo volume e invasività esterna, era un edificio all’avanguardia che obbediva ottimamente alla funzione a cui era destinato con soddisfacenti caratteristiche funzionali: elevata capienza di pubblico, palcoscenico e platea in pendenza, l’una opposta all’altra per favorire la corretta osservazione, pareti e soffitto fonoassorbenti, un impianto scenico fisso, fossa orchestra/suggeritore, sipario, camerini, ingegnoso schermo mobile che consentiva il suo inabissamento attraverso un meccanismo di pesi e contropesi, preparando il palcoscenico alle rappresentazioni teatrali. Non si è affievolito il ricordo di aver lavorato anche dietro lo schermo durante le proiezioni cinematografiche o dietro il sipario chiuso, col pubblico in sala, non visti, a terminare, sempre all’ultima ora, i lavori per definire la scenografia.

Ma si deve tenere a mente, nel dare forma a un’ipotesi progettuale, la storia del luogo. Le tracce, i lacerti di storia e di vita, le pietre parlanti, per chi volesse ascoltare, che ancora sono presenti, indifferenti al trascorrere dei secoli nonostante la sempre presente, imperante barbarie. Il nuovo teatro, il teatro della città, deve contenere e valorizzare la sua memoria e la sua storia già all’interno delle sue viscere; si deve sentire l’odore del suo passato, deve essere luogo della memoria.

Ci sono degli elementi che legano l’edificio teatro a un sistema di relazioni col suo dintorno, prima di tutto il castello, che non possono essere dimenticati e che dovrebbero guidare a una visione del tutto unitaria e non frammentaria o isolata: ci vorrebbe una visione globale prima di ogni approccio. La mancanza di una visione unitaria impedisce di raggiungere risultati pertinenti; sarebbe come il suono degli strumenti di un’orchestra che, in mancanza di coordinamento, suonano senza armonia.

Due foto in bianco e nero donatemi da Antonio Mogavero Fina, scattate la lui quando fu demolito l’arco scenico del teatro ottocentesco durante i lavori per la costruzione del teatro Le Fontanelle, testimoniano meravigliosamente le tracce di un affresco con rappresentazione di battaglia, di chiara fattura medievale e con epigrafi tardo gotiche. Tale straordinario documento resta l’unica immagine di un reperto, oggetto ancora di studio, che era stato salvato dal tempo proprio perché l’arco scenico ottocentesco era semplicemente addossato al muro preesistente, molto probabilmente appartenente all’antica chiesa di san Filippo, e che poi però venne demolito all’atto di costruzione del nuovo teatro (altri tempi: oggi certamente si sarebbe data priorità al salvataggio di ogni traccia). Questo documento testimonia l’importanza del luogo, come lo testimoniano i resti di frammenti di muro dell’antica chiesa all’interno del teatro ritrovati dall’archeologo Pancucci o parte del muro di cinta trecentesco ancora esistente e visibile vicino al luogo del nuovo foyer di progetto, al di sotto della scarpa difensiva in corrispondenza della porta di San Cristoforo.

Questi elementi devono avere quantomeno un peso emotivo per avanzare un’ipotesi progettuale. E’ bene ricordarlo: prima la conoscenza, poi la scienza.

Nel 1973 pubblicai un articolo-manifesto sul giornale Le Madonie in cui annunciavo la nascita di un teatro nuovo a Castelbuono, seguito, nell’anno successivo, da una mostra di bozzetti scenografici allestita nella Sala Pinta (l’attuale Sala del Principe del Castello). Lo stesso anno fondai, con un manipolo di amici, l’Associazione teatrale “Gruppo T”. Nella oltre trentennale attività del gruppo, insieme alle altre compagnie teatrali del paese, abbiamo costantemente cercato di sensibilizzare le varie amministrazioni a fornire di un teatro Castelbuono.

E’ indubbio e riconosciuto l’effetto positivo sulla formazione dei giovani e della comunità castelbuonese, messa a confronto con un linguaggio culturale contemporaneo a volte astruso, psicologico e di difficile comprendimento: opere di Beckett, Brecht, Ionesco, Dario Fo, Malerba, De Benedetti, Lorca, Pirandello, Fabbri, Molière, Cechov, Mrozek, Tardieu, Feydeau e molti altri hanno investito e nutrito generazioni di appassionati. Laboratori didattici per le scolaresche e rappresentazioni come “Pinocchio con gli stivali” o “Cappuccetto rosso”, con testo del Gruppo T, opere teatrali in corso d’opera e mai portate a compimento, anche per l’assenza di un teatro, come la “Passione di Cristo” (Martorio), “Inganni d’amore” di Vincenzo Errante, e poi Shakespeare e altro ancora. In assenza di un Teatro si è fatto teatro anche nelle strade, nell’ex chiesetta di san Giuseppe in via sant’Anna, dentro un magazzino all’interno del complesso di san Francesco, nelle piazze, nella chiesa del Crocifisso, nel chiostro di san Francesco.

Caro Sindaco, lo dico non solo come artista ma principalmente come scenografo, maturato in un’Accademia di Belle Arti prestigiosa e con esperienze lavorative al Teatro alla Scala e al Piccolo di Milano: il Teatro ha bisogno del teatro, del suo luogo ben definito, del suo spazio. Sempreché un teatro si voglia per Castelbuono. In caso contrario, forse è meglio lasciar perdere, non costruire nulla lasciando nel cuore quantomeno la speranza che in un futuro prossimo, migliore, con animi sensibili si possa realizzare un vero teatro.

E’ solo una scelta politica. E una politica con la memoria corta non può programmare il futuro che, invece, si costruisce proprio con i mattoni della memoria.

Inoltre, è fuorviante asserire che il teatro non necessiti di uno spazio scenico perché oggi il teatro è moderno e quindi si può fare ovunque. Vero! Ma in un certo senso è sempre stato così eppure ciò non significa nulla: tocca al regista o all’autore decidere se una determinata forma di linguaggio ha bisogno o meno di ambientazione scenica. Il teatro ha bisogno di un suo spazio fisico privilegiato che è fatto di palcoscenico, di sipario, di proscenio, di arlecchino mobile, di ponte luci, di graticciata, di un pavimento in pendenza che si può maltrattare, su cui si possono inchiodare le scene, di pareti attrezzate per l’ancoraggio di funi, di un fondale con panorama mobile… poi si può decidere anche di farne a meno, altrimenti non di teatro parliamo ma di oratorio parrocchiale.

Caro Mario, vorrei poterti convincere a condividere un coraggio creativo, come quando, nel 1993, io assessore alla cultura e tu capogruppo di maggioranza, sindaco Ciolino, abbiamo iniziato un percorso culturale di incontestato valore che ha giovato alla nostra comunità o come quando, dal 2003 al 2008, tu sindaco e io direttore del Museo Civico, insieme alla tua Amministrazione e a quella del Museo, abbiamo dato vita a una visione ampia e coraggiosa per il nostro castello conclusasi con l’arredo museale che lo ha elevato nel novero di uno dei migliori musei del sud d’Italia, di cui bisogna darti attestazione di merito.

La grande vivacità del popolo castelbuonese verso l’arte, la musica, il teatro, in breve verso il bello è un dono prezioso che va coltivato. Questo bisogna ricordarlo e ancor prima di ricordarlo ricordarselo, sempre.

Vorrei, in sintesi e per concludere questa lunga riflessione, convincerti a pensare ad un vero teatro per la nostra città, che sia un teatro prima di tutto e che possa, poi, essere anche sala funzionale per convegni, concerti, dibattiti pubblici e altro ancora.

Cordiali saluti

Enzo Sottile

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