In memoria di Mario Alfredo La Grua nel terzo anniversario della sua scomparsa
Il 28 marzo p.v. ricorrerà il terzo anniversario della morte del tanto compianto amico, giornalista, scrittore e poeta Mario Alfredo La Grua, grande figlio di Castelbuono e poi di Cefalù, dove fu anche sindaco.
Per onorarne la memoria, desidero riproporre di seguito ciò che espressi nove anni or sono, il 19 marzo 2011, a Castelbuono (Sala delle Capriate “Badia”), in occasione della presentazione del suo libro Percorsi a piedi, percorsi della memoria, da me prefato.
Mario Alfredo La Grua: Percorsi a piedi, percorsi della memoria
(Di Santo Atanasio) Parlare di Mario Alfredo La Grua – figura piena di fascino, figura nobilmente animata da passione morale, civile e politica, voce tra le più intense e di ricca vena non solo nel coro della lirica moderna, ma in genere nel quadro della letteratura e cultura italiana contemporanea – è cosa per me non poco imbarazzante e più imbarazzante è stato acconsentire alla sua garbata, ma perentoria richiesta di scrivere la prefazione al suo nuovo libro, Percorsi a piedi, percorsi della memoria: l’imbarazzo trova ragione nel fatto di avere sempre tenuto in grande onore il Nostro e di averlo sempre considerato un mio maestro di stile e, senza falsa modestia, non nego che l’idea di cimentarmi in un lavoro di “lettura” critica della sua ultima fatica letteraria mi ha impensierito non poco, perché fortemente ho temuto che il mio gusto estetico e la mia capacità di analisi non fossero all’altezza di cogliere pienamente lo spirito, il poetico e le peculiarità formali del testo narrativo di questi “percorsi”.
Tuttavia, la speranza… è prevalsa sui timori; così è nata la mia prefazione.
Potrà essere di qualche utilità per il lettore? Non posso che augurarmelo di cuore.
Ma ora, ecco, vorrei offrirvene alcuni brani.
«Percorsi a piedi, percorsi della memoria è il nuovo libro di Mario Alfredo La Grua, il cui titolo riecheggia Passi a piedi, passi a memoria (1985) di Antonio Castelli – geniale ed elegante scrittore di origine castelbuonese – a cui l’opera del Nostro è dedicata “in mesta memoria”.
Si tratta dell’ennesima conferma di come Mario Alfredo La Grua – castelbuonese “doc” “alla soglia degli 85 anni” – sia tenacemente attaccato alla sua profonda vocazione letteraria. […]
Questi Percorsi a piedi, percorsi della memoria prendono risalto nella vasta produzione dello scrittore per il tono di profonda e commossa partecipazione ai valori di una realtà – quella di Castelbuono, piccolo centro urbano della provincia – e della sua civiltà – quella dei pastori, dei contadini, degli artigiani, degli artisti e dei professionisti – nel periodo dalla vigilia della seconda guerra mondiale all’ultimo dopoguerra e fino agli anni Cinquanta, nonché per la ricchezza di una sensibilità che colorisce la materia e la trasferisce in un’atmosfera di notevole potenza suggestiva. […]
L’arte di La Grua affonda nella vita le sue radici e si compiace della materia del suo raccontare “a fil di memoria” e sul filo di una nostalgia struggente e di una genuina e totale simpatia verso le realtà descritte che prendono consistenza e rilievo poetico, pregnante e intenso, dalla indovinata formula dei “percorsi” di “luogo d’acqua” in “luogo d’acqua” (“funtani”, “canali”, “abbiviraturi”) del suo antico e sempre amato paese natale; luoghi, cose, la gente semplice, personaggi della cultura e della politica, figure anomale, affetti, situazioni, vicende, ecc., non di rado, sono ritratti sapientemente e con finezza nelle loro componenti essenziali e sembrano essere proiettati sullo schermo di una realtà idilliaca senza tempo che trova nella dimensione umana del paese la sua collocazione naturale.
Ritroviamo, tanto nei due poli storici di Castelbuono (la “Chiazzetta” e la “Chiazza ‘nnintra”) e in altri spazi “intra moenia”, quanto in zone “extra moenia”, una rivisitazione cordiale e commossa di “luoghi d’acqua” ricchi di fascino e portatori di vicende e vissuti individuali e collettivi; tutto è narrato con una straordinaria freschezza, con una spontanea disposizione a cogliere anche nelle cose più banali gli elementi magici, con una sensibilità eminentemente poetica insomma, insieme con una sobria e naturale eleganza espressiva che connota la limpidezza di stile del Nostro.
La fitta trama di evocazioni, cui lo scrittore si abbandona con aurorale pascoliana meraviglia, è espressa in deliziosi quadretti o racconti brevi e veloci, ma non per questo frettolosi, nella misura di una sincerità che non è immediatezza, ma approfondimento, intimo bisogno di verità, adesione al sentimento manzonianamente cristiano della vita: il periodare – in una lingua a cui si mescolano forme vernacolari, locuzioni dialettali ed echi di cadenze popolaresche – sembra volere raccogliere e ricomporre la sostanza frammentaria dei ricordi per riconquistarci alla speranza di essere reimmessi nell’humus di un mondo strapaesano, povero e lontano, ma fascinoso e permeato di sana vitalità, di un mondo dove gli umani affetti sono la musica e il respiro della vita.
Memoria e saggezza si compongono e si accordano nelle varie descrizioni con moduli narrativi che s’inquadrano nel clima della poetica proustiana della memoria e della ricostruzione a ritroso del tempo perduto con risultati, spesso, intensi e profondi.
Il desiderio di trovare un compensativo al “rischio di scomparsa dei ‘luoghi d’acqua’ dal contesto urbano di Castelbuono” o, per meglio dire, dei valori (aggregazione, comunicazione, solidarietà, amicizia, tradizioni) di cui essi sono portatori, induce lo scrittore a intraprendere questi “percorsi della memoria”, a trascrivere un non facile movimento: quello del rientro, del giustapporre frammenti di vita paesana e scorci smozzicati di fontane o abbeveratoi; in altre parole, quello del ripristino della condizione originaria di un piccolo mondo – inevitabilmente condannata all’oblio – per fissarla (salvandola) in una immobilità eterna (in senso religioso) e per consentire così “a chiunque” di appropriarsi o di riappropriarsi di quella “atmosfera mitica e trasognata” di cui ogni particola di luce strappata alle tenebre è permeata. […]
[…] Tutto ciò che l’io dello scrittore ha esperito, nutrendosene – “prima del trapianto” nella marinara Cefalù, “e del rimpianto”–, tutto ciò che l’avvicendarsi di mode e di stagioni ha fatto smarrire − relegandolo in un passato grigio di solitudine e velato di malinconia −, tutto ciò ora, finalmente, grazie all’atto della scrittura creativa, viene colto nella sua immediatezza e verità – senza intrusioni intellettualistiche –, viene vivificato e riconglobato al presente.
Illuminante al proposito – per dare soltanto un esempio e dare agio al lettore di gustarsi in prima persona i testi, pagina dopo pagina – è quanto leggiamo in “’U Canaleddu” (la fontanella di Via Gaetano Tumminello, già Via Cappuccini, “in cima alla Via Giovanni Guzzio che è la strada della mia casa e della mia famiglia” – ‘è’ e non ‘era’, scrive La Grua, per dare vivezza e drammaticità alla narrazione):
“[…] Lì, al “Canaleddu” mia madre mi mandava ad attingere acqua. Lì intorno al “Canali”, il vicinato si aggregava e faceva grande famiglia. Ricordo per nome e per attività le famiglie dei vicini di casa, cominciando dalla dirimpettaia, “Za’ Annaredda” che fino a tarda notte tesseva sul telaio a pettine, del quale anche mia madre si serviva per tessere teli di lino e di damasco, i cui rotoli si tenevano nelle cassapanche di casa. Di quella strada ricordo con precisione rumori, voci, abitudini contadine e pastorali. Quando si faceva notte, l’unica cosa che dava segno di presenza era il croscìo dell’acqua del “Canaleddu”[…]. Del battere cadenzato del telaio a mano e del “criscenti” (lievito) per il pane passato da balcone a balcone, ho un ricordo fortissimo come del croscìo d’acqua del “Canaleddu” che non avrei mai voluto fosse immolato al rubinetto di cucina”.
E’ la “castelbuonesità” il maggiore punto di forza di questo mondo narrato, di questo piccolo centro urbano della provincia; essa è transitata nelle pagine oneste di La Grua e, in virtù di esse, si illumina il presente di noi lettori perché nei nostri cuori fiorisce un amore profondo: l’amore che lega la nostra vicenda privata al ceppo della nostra gente, alla cultura popolare e al senso morale dei nostri padri.
Un vivo augurio a Mario Alfredo La Grua per questo suo contributo al recupero memoriale di tanti “luoghi d’acqua” di Castelbuono: che esso possa davvero riappropriarci al senso di una vita densa di valori, sradicando pregiudizi, diserbando gramigne di costumi omologati […]; e che possa anche dare a chiunque sappia ascoltare (e ascoltarsi) punti di riferimento e suggestioni essenziali per vivere pienamente e umanamente la vita. Auguro a questo libro i tanti lettori che la sua “romantica”, non facile composizione merita».
Castelbuono, 19 marzo 2011
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