Un matematico, due sindaci, il fonte di Camar e gli scecchi
Note, divagazioni e stravaganze toponomastiche – Quarta puntata
Diffusa curiosità ha suscitato da sempre il misterioso edificio (foto 1), ormai semidiroccato, che sorge a pochi passi dall’Abbazia di santa Maria del Parto, ormai per tutti – chissà perché – il Romitaggio.
Abate di santa Maria del Parto per molto tempo, grazie al mecenatismo dei Ventimiglia, fu l’eccellentissimo scienziato Francesco Maurolico (foto 2) al quale la matematica molto deve sia per l’introduzione del potentissimo strumento, usato per dimostrare proprietà dei numeri e comunemente detto principio di induzione, sia per avere ricostruito diverse opere perdute di grandissimi matematici quali Archimede e Apollonio. In particolare, la ricostruzione del V e del VI libro delle coniche di Apollonio avvenne interamente a san Guglielmo e fu terminata, annota Maurolico, il 25 ottobre 1547 all’ora quarta della notte, cioè quattro ore dopo il tramonto.
I diversi e prolungati soggiorni di Maurolico a Castelbuono non passarono inosservati né furono dimenticati, a differenza di quanto avverrebbe oggi, se, a distanza di più di trecento anni, l’attento toponomastico ottocentesco ha avvertito la necessità di intitolare allo scienziato messinese una tra le vie più importanti qual è la popolare Stratê Minà (foto 3), denominazione, quest’ultima, ancora viva nel parlato castelbuonese.
Nello stesso periodo, l’Abbazia di santa Maria del Parto (foto 4), a seguito della confisca dei beni ecclesiastici da parte dello Stato del 1866, veniva acquistata dalla famiglia del non ancora sindaco Mariano Raimondi. Dal momento che la Chiesa aveva proibito ai fedeli di acquistare i beni confiscati, i contravventori incapparono in pene varie comminate dall’autorità religiosa e per questo, ai Raimondi, in particolare, fu affibbiato il soprannome di Scumunicati.
Mariano Raimondi (foto 5), al quale fu intitolata la via che dalla Piazzetta porta in piazza san Leonardo, che si chiamava, appunto, via san Leonardo, fu un sindaco di raro civismo e senso delle istituzioni. Più che un sindaco tra la gente, a parole, fu sindaco per la gente, coi fatti. Una persona misurata e di invidiabile aplomb. Messosi a capo del movimento democratico (altra cosa rispetto a quello che sarebbe stato, ottant’anni dopo, palestra e trampolino di lancio per un altro sindaco), nel 1912 fu eletto primo cittadino e, per la prima volta, Castelbuono ebbe un’amministrazione operaia. Il primo atto di Raimondi a sostegno della sua gente fu l’istituzione di un granaio del popolo che pose fine alle vessazioni perpetrate da commercianti e produttori di grano ai danni dei suoi concittadini, praticamente ridotti alla fame. Anticipando diverse decine di migliaia di lire, importò a proprie spese notevoli quantitativi di grano che distribuì alle famiglie a prezzo di costo. Lo stesso distacco olimpico dal denaro sfoggiato dai politicanti di oggi, specialmente da quelli che, non avendo né arte né parte, intendono la politica come pura fonte di reddito.
Nel 1920, durante il suo secondo mandato, il Castello fu messo all’asta dagli ultimi Ventimiglia e il nostro sindaco, benché ripetutamente minacciato dalla mafia, ostentando coraggio e sprezzo del pericolo, seppe resistere alle intimidazioni subite e, grazie al buon esito della colletta popolare e al suo personale finanziamento, riuscì ad assicurare ai castelbuonesi il loro Castello. Se l’ottimo Mariano Raimondi avesse immaginato, solo lontanamente, le ultime vergognose baruffe susseguenti al rinnovo del CdA del Museo Civico, difficilmente avrebbe corso il serio rischio di farsi togliere di mezzo dalla mafia per salvare il simbolo di Castelbuono.
Ritorniamo, però, al nostro misterioso edificio adiacente al Romitaggio (foto 6). Presso gli eredi del benemerito sindaco Raimondi, che ne sono proprietari, questo fabbricato, da sempre, viene chiamato, ancora più misteriosamente, i parchi.
Coloro che a Castelbuono cercano a tutti i costi, e spesso a sproposito, penetrazioni della cultura araba ritengono che questa costruzione sia quanto rimane dello splendido palazzo del Caid e che Mustafà, quello della omonima via, sia stato una di queste autorità durante il periodo della dominazione araba in Sicilia. Se, però, nell’XI secolo Castelbuono non era stata ancora fondata, ciò rappresenta solo un trascurabile dettaglio.
La verità, invece, è che in quel fabbricato, nel ‘600, fu impiantata dai Ventimiglia la prima vetreria di Castelbuono (foto 7-11). Alcuni sopralluoghi effettuati colà da Minà Palumbo già negli anni trenta dell’Ottocento portarono al rinvenimento di frantumi di vasi di vetro nero e bianchi. L’esistenza in quel sito di una vetreria risultava evidente anche per via del fatto che molti mattoni della costruzione, agli occhi del nostro illustre scienziato, presentavano incrostazioni di vetro di vari colori e chiari segni di essere stati portati ad altissime temperature. E’ peraltro noto che nel XVII secolo la vetreria di san Guglielmo era gestita da imprenditori genovesi che avevano reclutato vetrai muranesi e campani.
I marchesi di Geraci, successivamente, eressero una nuova vetreria intra moenia, attiva fino ai primi dell’800, diversi manufatti della quale si possono ammirare nel museo Minà Palumbo (foto 12). La nuova vetriera fu edificata, dietro la chiesa di santa Nicola, nel quartiere che prese il nome dalla fabbrica e dove fino al secondo dopoguerra si poteva individuare più di un vestigio della vetriera (foto 13). E’ singolare (ma, attenzione, non è esclusivo del dialetto di Castelbuono) che per i santi Nicola e Nicasio si dica santa Nicola e santa Niquasi come se il santo in questione fosse femmina.
La vetriera dovette sorgere nell’estremità sud di quel quartiere (foto 14-15), nei pressi dello slargo popolarmente detto u chianû puzzu, per via del pozzo pubblico, che vi si trovava, documentato nelle mappe ottocentesche, e prospettante (foto 16) su quella che, nella seconda metà Ottocento, sarebbe stata la rotabile Castelbuono Geraci.
A due passi dal quartiere della Vitrera sorge un altro misterioso fabbricato (foto 17), un pinnacolo di mattoni a ffacci vista che un tempo molti chiamavano il parafulmini, e in effetti lo è (foto 18), ma che in origine potrebbe essere stata una ciminiera. Adiacente ad esso, è la centrale termoelettrica (foto 19) che, a partire dal 1926, produsse energia elettrica per l’illuminazione pubblica e privata.
L’illuminazione delle strade con le lampade ad incandescenza aveva mandato in pensione la vecchia e fiabesca figura del lampionaio il quale armato di scala a pioli aveva il compito, al tramonto, di accendere i lampioni ad arsòliu posti agli angoli delle strade (fig. 20) e all’alba di spegnerli. Ma in questo, spesso, veniva anticipato dal vento che a Castelbuono non ha mai disdegnato di soffiare: Casteddribbùonu mmintusu e vintusu, Castelbuono ingegnoso e ventoso.
Nei primi tempi, la scansione oraria dell’erogazione dell’energia elettrica riproduceva quella dei lampioni, vale a dire dal tramonto all’alba. L’improvviso illuminarsi delle strade sul far della sera mandava in visibilio tutti, ma specialmente i bambini, che scorrazzavano per le strade gridando: a luci vinni!, a luci vinni! E’ interessante notare che la luce elettrica antropologicamente è considerata alla stregua di un essere umano visto che per constatare l’erogazione o l’interruzione dell’energia elettrica si continua a dire vinni a luci, si nn’ivi a luci, murìu a luci esattamente come una persona che viene, che va, che muore.
Nella centrale di via Geraci l’energia elettrica veniva prodotta dall’energia termica, per mezzo di un complesso sistema di alternatori e di motori a scoppio (foto 21) che con il loro fragore e la messa in moto degli intricati marchingegni davano all’attonito osservatore un senso di profondo smarrimento al punto che per rimarcare una situazione di trambusto o di confusione ordinariamente si dice: oh nfìernu cc’è â centrali… E la stessa via Geraci, nel tratto compreso fra lo stabilimento della Mannite e il curvone dei Calagioli, da allora, è per tutti u rettifilâ centrali (foto 22-23).
La ViaGeraci, a seguito del rinnovo della toponomastica del 1967, è diventata via Fonti di Camar, denominazione astrusa prima ancora che di difficile addomesticamento etimologico.
Vito Amico nel suo Lexicon topographicum siculum del 1754, alla voce Castelbuono, parla del fonte di Camar che si trova “non lungi dal paese” ed è “mentovato poiché hanno le sue acque proprietà purgativa”. Il fonte di Camar, in realtà sorgeva in contrada Calagioli, nelle adiacenze dell’abitazione dell’ex sindaco Mario Cicero, zona ricca di acque, infatti vi sorgeva un altro mulino di cui, distrattamente, non ho detto nella puntata precedente.
L’etimologia di Camar è controversa. Gli specialisti tendendo ad escludere che si tratti di un arabismo, essendo rimasta la nostra zona squisitamente bizantina, ritengono derivi dal greco ‘cammarion’ aconito, pianta velenosa. In effetti esiste una euforbia, l’Euforbia dendroides, che in dialetto è chiamata camarruni. Però in greco ‘camara’ significa copertura a volta e ciò potrebbe riferirsi al fatto che il fonte di Camar, al pari della cubba araba, fosse una fontana superiormente chiusa da una cupola.
E’ un vero peccato che sia poco probabile l’ipotesi avanzata dal famoso arabista Gian Battista Pellegrini, secondo il quale Camar deriverebbe dall’arabo ‘himār’ che significa asino, tant’è che nel Libro di Ruggero del famoso geografo arabo Edrisi ‘Al himār’ è il nome di Isnello. Sarebbe stata la quadratura del cerchio: Camar, Calagioli, Mario Cicero, i scecchi.
Interessantissima come sempre la rubrica.
Ho sempre pensato che nelle cose c’è un ordine supremo ed ancestrale e quindi sono portato a pensare che l’origine del nome “fonti di camar” sia veramente araba a conferma della quadratura del cerchio ipotizzata dal professore: Camar, Calagioli, Mario Cicero, i scecchi.
Professore, lei è un Artista!
Lei è ossessionato da Mario Cicero. Non riesce proprio a rinunciare a fare riferimento all’ex sindaco (che comunque non voterei). Crede di essere un intellettuale, “il migliore”, il professore dei professori quando in realtà è solamente un piccolo e frustrato uomo. Si vergogni, sig.Genchi.
Caro anonimo Peppe il suo meschino commento meriterebbe certo una sana censura. Tuttavia, dato che il Prof. Genchi è uno degli autori di questo blog, abbiamo ritenuto bene di contattarlo. Lui stesso ci ha detto che anche questo fa parte del gioco e ci ha consigliato di non eliminare il suo commento. Nostro malgrado accogliamo il consiglio. Vorremmo comunque sottolineare che tra i 2200 commenti presenti il suo è il più intriso di odio e invidia e avvelena il clima di dialogo e di confronto, ma guardi comprendiamo bene che anche questo é tra i suoi obiettivi.
P.S. Si vergogni lei, anonimo vigliacco
Io sono ossessionato da Mario Cicero esattamente come Sabina e Corrado Guzzanti, Vauro, Paolo Rossi, Dario Vergassola e mille altri ancora sono ossessionati da Berlusconi.
Non mi ritengo un intellettuale perché non porto la sciarpa attorcigliata al collo in bella mostra e non ho l’abitudine di ostentare calici di vino per dissimulare il vuoto.
Non credo di essere “il migliore” perché Togliatti (del quale tu non sai assolutamente nulla) è stato unico.
Professore, invece, sì perché ai miei alunni, prima ancora che la matematica, ho cercato di trasmettere “il mestiere di vivere”, l’importanza della dignità e dell’indipendenza di pensiero.
Piccolo sì, soprattutto rispetto alla tua smisurata protervia e alla tua ubriacatura da feticci politici.
Frustrato certamente: avere un lavoro di cui non dovere rendere grazie a nessun politico, non prendere ordini da nessuno, essere libero di potere esprimere ciò che mi passa per la testa, non fare parte di nessun codazzo, non avere l’assillo di dovere essere nominato per forza in qualche istituzioncina per dare un senso alla mia esistenza, TU NON LO POTRAI MAI CAPIRE, ma sono cose che frustrano terribilmente.
Mi vergogno, sì. Di essermi, forse, seduto a tavola con te, qualche volta.
Grande Professore!!!
Riguardo ALLA piccola Peppe, suona la tromba finchè puoi. Il tuo incarico, prima o poi, finirà.
E solo allora ti renderai conto che sarai costretta sempre a dipendere dal potente di turno per far finta di contare qualcosa, in paese. Vergognati piccola Peppe.
Come mai l’illustre architetto catalano, senor (anche se sarebbe meglio senorita) Gaudì non è ancora giunta in soccorso della povera Peppe? Forse qualcosa nella Sagrada Familia comincia a non funzionare?
P.S. Vada avanti professore!
Quanto livore per nulla, che vergogna, brava redazione e bravo il Prof. Genchi
Credo che la foto che lei ha scattato è perfetta!!ha dato l’esatta e perfetta immaggine del tanto decantato uomo politico in questione, la sua continua e forsennata ricerca di incarichi e nomine è davvero vergognosa..farebbe meglio a trovarsi un lavoro con cui sostentare la propria famiglia come fanno tutti coloro che hanno dignità e rispetto di se stessi, al posto di cercare di accumulare uno stipendio..e oltre con incarichi diversi.Chi vive di ricordi muore..chi vivrà vedrà..
…e chi vive sperando muore c*****o.
In ogni caso “IMMAGINE” si scrive con una sola “g”.
Per favore……..
anche lecchino di CICERO…con una sola “C”?
No. “Lecchino” si scrive con due “C”, ignorante!
IL SIGNOR Peppe o come la chiamano, signora, non conosce la bellezza dell’ironia e della satira, soprattutto usata intelligentemente come qui, solo la persona intelligente sa ridere di se stesso, sono le parole di astio e di offesa che danno fastidio
io credo che anche Mario Cicero se leggesse questa rubrica si farebbe quattro risate sulla battuta finale del Prof. Genchi. Non condivido l’attacco personale di Peppe, la satira fatta dal Prof. è veramente di stile. Prof. continui con la sua rassegna!! siamo in tanti lontani dal nostro splendido Paese e la sua rubrica come questo splendido sito ci fa sentire meno lontani. Grazie ancora
Ahahah!! Bel finale prof. un vero peccato che il cerchio non quadra…
Si può romanticamente pensare che Camar sia l’innamorata di Curial del “Curial e Güelfa”, un noto romanzo cavalleresco catalano di origine anonima (1435-1462?). Camar follemente innamorata di Curial è destinata in sposa al re di Tunisi. Questa figura servirà all’anonimo autore come simbolo dell’amore puro.
Che sia un omaggio culturale alla corona d’Aragona architettato dai Ventimiglia?
Tanto per alimentare la meritoria e utile attività di ricerca storica del vostro sito.
Ieri sera Benigni è stato magistrale. Ha “recitato” e commentato la nostra Costituzione (la più bella del mondo) come fosse la Divina Commedia. Eppure non è mancata la satira nei confronti del “pensionabile” Silvio nazionale. Oggi qualche giornalista ben allineato ha scritto che Benigni è ossessionato da Berlusconi. Io non credo che Benigni sia ossessionato da Berlusconi nella stessa misura in cui Massimo Genchi non lo è di Mario Cicero. Forse la differenza sta nel fatto che Mario Cicero non potrà che ridere di gusto e Berlusconi, o meglio i suoi fedeli, provare livore lo stesso che ha animato la tastiera della Peppe il 17 dicembre alle ore 18.16.
Grazie Massimo, a che punto è la maschera 2013 ?
Cari ragazzi, grazie delle vostre gentili parole.
Caro Salvatore, la maschera 2013 la faremo a Campofelice e si chiamerà OSSESSIONE. Così Peppe che, fate attenzione, non è LA Peppe che si vorrebbe dare a intendere, ma un maschietto di belle (???) speranze, può cominciare a salivare. Come i cani di Pavlov alla vista della solita scodella di cibo, anche quando era vuota.
concordo…io sono Anonimo e lo sono altre 3 persone…che meraviglia!
Non conosco il Sig. Peppe o forse sì, non so se ho mai avuto il piacere di sedermi a tavola con lui, o forse sì. Sono confusa sarà per l’anonimato, sarà perché mi sento chiamata in causa in una discussione che non ho alimentato (altre volte è accaduto è inutile girarci intorno). Leggo e mi rendo conto di quanto sia limitato e limitante commentare senza metterci la faccia, in particolare, quando si fanno accuse pesanti. Lo è per che legge figuriamoci per chi scrive. Sono Direttore da poco e non capisco quale sia la novità se, com’è noto, le nomine sono a scadenza, lo sono state quelle passate, lo sono queste, lo saranno nel futuro. Caro Peppe bisogna commentare e giudicare dai risultati, io sono abituata a fare così, sarà per questo che sono molto serena.
Non capisco come si possa passare da un argomento tanto interessante, quale quello che ci ha sottoposto il Prof. Genchi, alla difesa ossessiva di qualcuno o nei casi più soventi, all’attacco spropositato nei confronti di qualcun’altro. A me manca la logica, sarà un mio limite. Qualcuno ha scritto: non conosce la bellezza dell’ironia…è evidente che non mi conosce, a me piace molto l’autoironia.
Chi mi conosce sa, che non ho bisogno di nascondermi dietro un anonimo, da sempre, sono abituata a dire ciò che penso con o senza nomina e stia certo il caro Peppe, non cambierò giusto ora; aggiungo anche che, tutte le volte mi sono assunta le mie responsabilità e che non sono mai scesa sul personale con nessuno, perché è un modo di fare che, proprio non mi appartiene. Solo chi conosce come sono fatta, sa che mai avrei potuto tessere una polemica, così com’è accaduto in questo post, anche perché l’argomento proprio non mi attrae. Sa, Peppe, è un fatto di educazione, dire ciò che si pensa, non è un esercizio immediato, o ti educano così o difficilmente si può verificare;e dire ciò che si pensa, implica non solo senso di responsabilità ,ma anche, cambiare idea nel momento in cui le cose non corrispondono più alla propria morale, si chiama onestà intellettuale. Anche questo è un fatto di educazione ed io di questo vado fiera. Questa è, forse, la cosa che mi ossessiona di più.
Finisco facendo i miei complimenti al Prof. Genchi per la storia che ci sta facendo conoscere e per il modo semplice e particolare con cui ce la sottopone…e per non essere caduto (l’unico forse) nella “trappola” de LA Peppe!
Forse mi manca qualche passaggio, ma non avevo capito il riferimento, comunque scritto con cattiveria e penso invidia dal fantomatico Peppe, alla sua persona. Andate avanti e non cogliete le inutili e sterili polemiche
E’ possibile sapere il compenso che spetta al presidente ed al vicepresidente del GAL Madonie?
Ma il Vice Presidente non è Mario Cicero? Chiedetelo a lui
Ora io vorrei sapere che c’entrano tutte ‘ste dichiarazioni d’odio, d’amore e d’amicizia con l’amabilissima rubrica du professori Genchi. Mettetevi nei panni di chi sta fuori sede e, volendosi lasciare evocare da una memoria collettiva…si ritrova a leggere la mediocrità o l’inutilità di commenti fuori tema e fuori tempo. Mah…Professù auanni ci nnè cosi i cuntari o vigliuni…ci nnè “gioielli” i muntuari! Complimenti.