Le velate lusinghe del coccodrillo travestito da politologo da strapazzo

(Di Massimo Genchi) – Il coccodrillo, lo sanno tutti, in molte delle cose che fa è un destro. Nel senso di abile, ma anche spregiudicato. Come, per esempio, nel divide et impera (cioè nel mettere tutti contro tutti al fine di governare), nell’inimitabile capacità di abborracciare e aggomitolare, nella vendita (?) di legna da capitozzatura a prezzi bruciati, di terreno da deposito alluvionale a prezzi stracciati e nella distribuzione dell’acqua, sulla quale esercita il maniacale controllo di ogni richiesta perché c’è il database da tenere sempre aggiornato e pronto alla bisogna.
In altre cose, invece, il nostro coccodrillo è un sinistro, non nel senso dell’appartenenza politica, come dimostrano i suoi metodi coercitivi e latino-americani, ma sinistro nel senso di catastrofico. Come accade tutte le volte che si erge a politico di rango, sfoggiando una pretesa grandiosità e una solennità di toni, assimilabili a quelli dû Signiruzzu nel giorno del Giudizio, chiedendo scusa per il paragone irriguardoso. Non tanto per avere accostato il coccodrillo ô Signiruzzu, quanto il viceversa.
La solennità delle sparate del coccodrillo, dicevamo. Giorni fa, alcuni amici mi hanno inviato un suo post pubblicato su fb, chiedendomi un parere su cosa mai volesse dire e a chi si rivolgesse. Ho letto e riletto il tormentato componimento, dapprima dall’inizio alla fine, poi dalla fine all’inizio, poi ancora a righe alterne, pensando potesse celare un messaggio in codice, infine mi sono arreso. Ho chiamato i miei amici per concludere sconsolato: «Guardate, non lo so». E ho aggiunto «Però non preoccupatevi, di sicuro non lo sapeva neanche lui cosa stesse scrivendo in quel momento, e neanche cosa stesse pensando». Nelle immagini qui sotto potete vedere sia il subliminale post del coccodrillo, giacché qualche messaggio sotto traccia a persone ben determinate voleva pur inviarlo, sia il fronte e retro di un fac simile, risalente alle elezioni amministrative del 1970.

Nel post, le solite manfrine. Contaminazioni, eredi di una cultura politica, bene comune, progetto politico, apertura al confronto, radici “piantate e innafiate”, i suoi princìpi etici e morali !!!! Insomma, ancora una volta, discorsi da cafè. A partire dall’esorbitante pretesa di ritenersi “testimone di quella storia”. Tenete presente che nel 1970, il coccodrillo avendo otto anni, era appena un tenero coccodrill-otto. Quindi testimone di cosa? In ordine a quell’episodio di storia politica, il coccodrillo dimostra semplicemente di non conoscerlo né di averlo ben compreso quando l’ha sentito raccontare.
Unità Popolare è la sigla sotto la quale le sinistre si presentarono unite, tanto per dire, in quelle elezioni del 1970. Più che di una contaminazione, si trattò di una conglomerazione alla quale si assommò financo il partito repubblicano. Rispetto alla Prima Internazionale, insomma, mancavano solo gli anarchici. Questo per dire che le contaminazioni a tutti i costi, ricche di affastellamenti e con tutti dentro, come quelle che tanto piacciono al coccodrillo, e forse anche a qualcun altro, non sempre sono di buon auspicio né di buon esito. Specialmente perché i cosi an’âviri i pìeri ppi ccaminari.
Faccio una premessa, perché sia comprensibile cosa accadde realmente in quelle elezioni del 1970 nel corso delle quali, a dire del coccodrillo, fiorirono le buone pratiche, certamente perché vennero “innafiate”. Ma non con la solita acqua. Visto il pessimo esito, forse usarono l’acqua pesante e perciò la contaminazione risultò fatale.
Dunque, nel consiglio uscente, eletto nel 1964, il PCI era forte di 8 consiglieri su 30 e si tenga presente che il nono gli sfuggì per un voto. Leggasi un voto. In altri termini, aveva una forza di nove consiglieri, avendo riportato 1600 voti (26,8%). Dei suoi futuri alleati, il PSIUP riportò 314 voti (5,6%) e 1 seggio (l’avv. Schicchi), il PSI 314 voti (5,2%) e 1 seggio (Peppino Di Pasquale), il PRI non era presente. Per il PCI sedevano in quel consiglio comunale: Gino Carollo, Giuseppe Ardini, Domenico Cicero, Vincenzo Piro, Vincenzo Marguglio, Salvatore Abbate, Ciccio Di Galbo e Rosario Genchi, mio padre.
Il ragionamento che si faceva nella sezione del PCI alla vigilia delle amministrative 1970 era di questo tenore: dato che la DC parte dal 42% e, le forze ad essa contigue, i missini e i socialdemocratici insieme hanno il 20%, noi, anche se uniti, che speranze abbiamo di vincere? Nessuna, essendo assai improbabile guadagnare quel 15% necessario per conquistare la maggioranza. Allora, concludevano, tanto vale andare da soli, cercare di prendere il nono consigliere, che era sfuggito per un solo voto nel 1964, ed incrementare il consenso con l’obiettivo e la speranza che possa scattare anche il decimo e, con il resto della sinistra, organizzare una opposizione alla DC numericamente temibile. Quasi tutti nel direttivo erano su questa linea ma Gino Carollo, leader indiscusso di quel PCI e deputato all’Assemblea Regionale, invece, ritenne che la via dell’unità fosse l’unica, perché l’unica che sarebbe risultata vincente.
Interminabili e infuocate furono le discussioni interne nel tentativo di persuadere l’autorevole leader a recedere dall’insano convincimento, fino alla notte prima della chiusura dell’accordo quando Andrea Sottile, Ciccio Di Galbo e mio padre combatterono fino all’alba nel tentativo di dissuadere Gino Carollo dall’operare quella scelta dissennata. Non ci riuscirono.
Si andò alla lista unica composta, come si legge nel fac simile, da 11 del PCI, 7 del PSI, 6 del PSIUP, 4 indipendenti e 2 del PRI. Con quella distribuzione, per gli 11 candidati comunisti il rischio di dispersione dei voti era altissimo. Ed accadde esattamente questo. Il risultato fu una ecatombe, altro che buone pratiche. Unità popolare riportò 1715 voti (nel 1964 le tre liste ne avevano riportato complessivamente 2248), il PCI crollò da otto a tre consiglieri, il PSI, invece, passò da uno a quattro consiglieri!!!!, il PSIUP da 1 a 2. Dei consiglieri uscenti del PCI, a parte Gino Carollo, nessuno venne rieletto. Non venne eletto neppure il segretario della sezione, Andrea Sottile, circostanza che nel partito comunista, non accadeva praticamente mai, e quella volta accadde. Così come accaddero tante altre cose poco eleganti in quella contaminazione così stoltamente magnificata dal coccodrillo.
In quel tempo, anche se i candidati, a parte il capolista, erano ordinati alfabeticamente, la sezione designava le teste di serie: il segretario, i consiglieri uscenti, i candidati su cui politicamente si puntava maggiormente. Le tre preferenze da esprimere, le triplette, venivano determinate in maniera tale che i primi eletti fossero proprio costoro. Poi, più seggi scattavano e più outsider sarebbero entrati in consiglio.
Quella volta, essendo la coalizione così fortemente a trazione PCI, sulla base dei risultati delle precedenti elezioni, fra i quattro partiti si decise che i primi cinque eletti sarebbero stati del PCI, poi uno del PSIUP, uno del PSI, poi ancora due del PCI e poi gli altri. Le preferenze sui fac simili vennero, quindi, determinate in tal modo. Si tenga presente che allora i candidati non facevano propaganda diretta per cui i soli fac simili che circolavano erano quelli con le triplette, così come determinate dal direttivo o dal comitato elettorale.
Fin dai primi giorni di campagna elettorale e di volantinaggio porta a porta, si seppe che qualche candidato, non del partito comunista, di soppiatto, soleva ripassare dagli elettori già visitati per modificare a proprio favore le preferenze nei fac simili consegnati. Più che buone pratiche, sarebbe più congruo dire ottime schifezze. Ci si contaminò, si votò, andò come andò, e come già si sapeva sarebbe andata. Purtroppo, oggi si trovano tutti nel mondo dei più coloro che conoscevano benissimo la storia dei fac simili con le preferenze modificate e che furono anche testimoni dell’arrivo dei risultati ufficiali portati in sezione dal segretario Andrea Sottile che, carico di collera e col viso paonazzo, li scaraventò sul tavolo esternando gli stessi sentimenti di rabbia che erano anche di molti altri compagni lì presenti. Furono eletti Carollo, Mazzola e Nardo Sferruzza per il PCI, Di Pasquale, Romeo, Biundo e Peppino Abbate per il PSI, Macaluso e Enzo Sottile per il PSIUP.
Detto senza mezzi termini, si trattò di una puttanata colossale, altro che esempi virtuosi. Solo chi non possiede il senso del reale può pacchianamente ritenere, per un suo recondito calcolo, di spacciare, a 55 anni di distanza, pensando che nessuno ricordi, quella nefandezza come un insieme di “valori e buone pratiche che uomini e donne che sono nella lista pubblicata hanno voluto e favorito”. Voluto e favorito, detto a proposito di una sconfitta che fece epoca, bruciante e lacerante, farebbe pensare che lo sgangherato post sia stato scritto con l’intelligenza artificiale. Invece no. E’ tutta intelligenza naturale. Tutta farina del suo sacco. E’ lui, insomma.
Volendo fare due semplici considerazioni politiche, oltre alle analisi dei risultati, più che le tante scempiaggini oggetto del post del coccodrillo, andrebbe seriamente dato il dovuto risalto al fatto che quella volta furono in ballo circa 150 candidati, segno della vivacità politica e della grande partecipazione alla vita democratica dei cittadini del paese di allora. Altre volte anche 180. Oggi per trovarne 60 si deve morire. Ma la cosa che sarebbe dovuta emergere dalle considerazioni di un erede di quella tanto millantata cultura politica è il gran numero di operai, commercianti, braccianti, studenti, artigiani – in questa e nelle altre liste – che liberamente scelsero, non solo in quella tornata elettorale, di candidarsi per il proprio partito. Esattamente l’opposto di quanto accade oggi, dove chi non teme ritorsioni e bonari consigli a desistere e a non occuparsi di politica è il dipendente del pubblico impiego tanto inviso al coccodrillo per una ragione assai semplice: non lo può condizionare. E allora eccoci arrivati alla domanda finale: in prospettiva futura, chi vuole solleticare il coccodrillo con le mezze frasi di quel suo post? Lo sappiamo. Così come sappiamo che quando ogni altra via si dimostra infruttuosa, rimangono solo le lusinghe. E a lui sono rimaste solo queste ormai.
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