“Apri i giornali e leggi che in Italia non ci sono più festival musicali, che la musica è morta, che non c’è più cultura.. poi scopri l’YPSIGROCK”

"Apri i giornali e leggi che in Italia non ci sono più festival musicali, che la musica è morta, che non c'è più cultura.. poi scopri l'YPSIGROCK"

Proproniamo la bellissima cronistoria delle tre giornate dell’Ypsigrock edizione 2013 ripresa da gqitalia.com.

La conferma che il festival di musica indie-rock  organizzato dai ragazzi dell’Associazione Culturale Glenn Gould è ormai entrato negli appuntamenti fissi dell’estate italiana (e non solo).

YPSIGROCK 2013, EDITORS MA NON SOLO: SIAMO STATI AL FESTIVAL.

Cosa ci fanno artisti di caratura internazionale in un piccolo paese in provincia di Palermo? Siamo stati a uno dei più interessanti festival italiani di musica contemporanea.

 

Apri i giornali e leggi che in Italia non ci sono più festival musicali, che qui la musica è morta, che non c’è più cultura. Poi scopri che c’è un festival di caratura internazionale, Ypsigrock, che si tiene da diciassette anni in un piccolo paese in provincia di Palermo, Castelbuono. Scorri i nomi delle passate edizioni e scopri una capacità costante di intercettare le tendenze musicali con almeno una stagione d’anticipo.

 

Ma tu sei a Milano e Palermo è lontana, è agosto, fa caldo.

E allora?

E allora esci di casa, prendi la navetta per l’aeroporto, l’aereo per Palermo Punta Raisi, il pullman per il centro ed infine la corriera per Castelbuono, solo due ore e sarai arrivato.

 

Più ti avvicini al festival e più ti avvicini alle nubi nere. Superi Cefalù insieme ad altri ragazzi argentini, catanesi e lombardi, stessa destinazione, e più ti avvicini più le gocce si fanno insistenti, arrivano messaggi incerti sull’inizio dei live. Ma più il tempo passa, più tutto queste avversità si cumulano, più la tua voglia di musica cresce. Scendi dalla corriera sotto un vero acquazzone  e cominci ad avviarti verso la location del concerto. Dovresti cercare un riparo, aspettare, ma non ce la fai.  Vedi il castello, veramente imponente e quella scritta in alto Ypsigrock, che funge da muezzin. La strada è un susseguirsi di capannelli di giovani fermi nei bar, di stand gastronomici, di bicchieri di birra in mano. Ti sembra che ti stiano facendo una ola e quindi cominci a correre, pronto a far iniziare il festival tu stesso. Ma non sei il solo con quel pensiero. L’entrata del castello è infatti un brulicare di voci, flash, bottiglie di vino, nomi di band, aspettative. Nessuno si arrende per due gocce, la voglia è troppa. Cessa la pioggia e tutti dentro, il festival è iniziato veramente. Superata quella soglia per la prima volta partono tre giorni incredibili di musica, persone, sudore e pioggia, in un unico flusso temporale, fino all’ultima nota dei dj set nel campeggio, spingendosi oltre la tanto attesa esibizione degli Editors prevista per domenica.

 

Nonostante la pioggia dei primi due giorni i live andranno avanti, come se anzi il maltempo galvanizzasse il pubblico: l’eroico concerto degli Shout out louds sotto il diluvio raggiunge vette insuperabli. Due i palchi: uno, il principale, nella cornice della piazza del castello, l’altro, quello per la sessione pomeridiana, all’interno del chiostro di un convento. C’è poi il campeggio del festival, per dormire e tirar ancora più tardi con i dj-set.
I due pomeriggi presentano in orario aperitivo ad inizio serata due proposte italiane di respiro internazionale, il blues contaminato dei Black Eyed Dog e il pop variegato di unePassante, per poi passare sul far del tramonto alle delicatessen di Deptford Goth e Indians, sospese eteree miscele di voce e synth, così da stringersi un po’ di più.
Le tre sere sul palco principale presentano combinazioni diverse.
Si parte con gli Efterklang, gran classe felpata, con un cantante che pare un epigono di Moz. La gente si scalda, le t-shirt si asciugano in po’, giusto il tempo di ricominciare a piovere. In un momento di pace dell’acqua, salgono sul palco gli Shout out louds, ma nemmeno una manciata di canzoni e parte il diluvio. Come ho anticipato, si va avanti lo stesso! Tocca poi ai The Drums, in difficoltà dopo la prova del gruppo precedente, di cui sono peraltro fan. Compito arduo, ma la performance resta sul piano della professionalità, salvo ultime forti fiammate sui singoli. Si finisce tardi, col pubblico emozionato per esser riuscito a portar a casa la serata nonostante le premesse.

 

Il secondo giorno, dopo la prova della salita al chiostro, ti affidi all’eno-gastronomia locale aiutando le  panelle a scendere con abbondanti bicchieri. Il pattern climatico resta quello della sera precedente ma niente eroi stasera, un pratico gazebo proteggerà i musicisti mentre il pubblico è ormai abituato alla pioggia. Mentre la gente entra stanno suonando i Youarehere per un veloce set, ed i beat cominciano ad accumularsi come le presenza nella piazza. Per gli Omosumo una parte del pubblico comincia a saltare sempre più vorticosamente, mentre l’altra decide di abbandonarsi ai piaceri culinari da affidar a lenta digestione sui bassi che Holy Other dispensa lenti e profondissimi, per lasciar scorrere qualche lacrima insieme a qualche goccia di pioggia. Saranno poi i Suuns a scuotere dal torpore dei sensi con un flusso di lisergiche cavalcate distorte lasciando ad Erol Alkan il compito di fustigare i corpi dei presenti con electro & synth un po’ persi nel tempo. Se per i più “anziani” o smaliziati a questo dj superstar è subito effetto-memorabilia , per i più giovani è “effetto-primo-maggio”. Comunque sia i beat tirati fuori dal cilindro dell’inglese funzionano e la piazza saltella vorticosamente.

 

Arriva così l’ultimo giorno, ultime ore utili per lasciarsi andare, per gli ultimi ascolti o per cercar di limonare quella tipa che avevi visto al campeggio magari, mentre i dj Robert Eno e Fabio Nirtacon numerosi ospiti facevan sorgere il sole. Ti svegli tardi, vai in piazza per una colazione fuori orario e la trovi invasa. Le presenze ora sono lievitate, stasera chiuderanno gli Editors, ed il sold-out è già annunciato da giorni. Un gruppo folk lancia un ballo tradizionale coinvolgendo locals e festivalieri mentre il cantante dei Suuns sgrana gli occhi dall’alto della sua granita: è troppo anche per te e torni a letto per riprender le forze, che dopo la sosta al chiostro nel pomeriggio ti aspetta al castello un ricco menu. I Metz infatti sferzano i pochi ciottoli rimasti intonsi dalle serate precedenti con il loro hardcore fulmineo, mentre Rover alliscia i ricci col suo carico di spleen lirico. L’atmosfera si fa sempre più carica, salgono i Local Natives per un live dal crescendo logaritmico quanto a volume ed a interazione col pubblico. Per chi è qui da tre giorni potrebbe anche bastare, ma mancano i tanto chiacchierati Editors. Un cambio palco di oltre mezz’ora  diventa l’ultima occasione per stringersi un po’, salutare un po’ di nuove facce e preparasi all’ultima battaglia. Gli headliner si impossessano del palco e se le attese di alcuni addetti ai lavori magari sono basse, il pubblico accorso in massa sembra non farci caso. Da “Munich” in poi il delirio è totale e ad ogni singolo respiro di Tom Smith la gente batte le mani, salta, urla, quasi tarantolata.

 

Si accendono le luci: siamo in tantissimi. E ce l’abbiamo fatta.

 

(Fonte: www.gqitalia.it)

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