“Cicero si autocandida, mascherando il fallimento etico che sta provocando nel movimento Andiamo oltre” – Valutazioni politiche del cittadino “Maurizio Cangelosi”

(Riceviamo e Pubblichiamo)

Democrazia viene dal greco “demos” (popolo) e “kratos” (potere), cioè “potere del popolo”. In genere è contrapposto a “oligarchia” che viene sempre dal greco “oligoi” (pochi) e “Arché” (comando): quindi, più o meno, “comando di pochi”.

Ci sono anche le investiture popolari ma falsamente democratiche: come quella che la storia ci racconta di Masaniello, scelto dal popolo ma solo perché ne aveva solleticato gli istinti primari, la pancia, per motivi non del tutto chiariti. In questo caso il processo di scelta, seppure popolare, è basato sulla forza di chi sceglie, su quanto sa urlare e persino sopraffare gli altri e il loro pensiero con atti unilaterali e forzati.

Non ci vogliono menti elette, cariche presidenziali o autori/autrici per capire che la forma di rappresentanza più popolare ed eticamente corretta, sia la democrazia: quella forma di approvazione cioè, in cui tutti gli aventi diritto esprimono, liberamente e nel rispetto di tutte le regole che ci si è dati prima della consultazione, il proprio pensiero per lasciar vincere, semplicemente, il pensiero numericamente più espresso. Questo diventa volontà popolare legittima, anche quando palesata a maggioranza, senza un plebiscito.

Perché questa premessa? Semplicemente per condividere quale sia, senza se e senza ma, il modo eticamente, storicamente e politicamente elettivo per decidere: la democrazia. E proprio su questa base avevamo commentato il comunicato di Andiamo oltre lunedì sera.

Onestamente però pensavamo, forse da illusi speravamo, che il non aver richiamato tutti al rispetto della conclusione democratica di quell’assemblea, il non aver strenuamente invitato tutti a collaborare per il bene collettivo – in questo caso quello dell’assemblea di Andiamo oltre – fossero solo poco più che sviste, magari scaturite da un pizzico di disappunto legittimo, se poi rientra e viene metabolizzato pensando alla democraticità di quanto accaduto; disappunto dovuto al fatto che il candidato del cuore non ce l’avesse fatta. Ci sta ci eravamo detti, magari ha senso sottolinearlo nel commento ma ci sta e probabilmente, andando avanti, il richiamo all’unità di intenti arriverà, se non nelle parole almeno nella sostanza dei fatti.

Invece no. Non è arrivato nulla, anzi l’autore/autrice del comunicato di lunedì, ha cominciato a soffiare sul fuoco della lesa maestà da parte di quanto accaduto nell’assemblea del 5/2: secondo il curioso pensiero espresso dall’autore/autrice, verbalmente, non sarebbe la volontà democratica di tutti gli iscritti ad avere diritto di essere, ma la decisione oligarchica del coordinamento. Rivoltando così, di fatto, qualsiasi logica legata alla volontà popolare espressa pubblicamente e senza sotterfugi. E qui ci soccorre il ragionamento iniziale: se come da premessa la decisione popolare legittimata è quella democraticamente espressa, non ci può essere alcuna giustificazione per altre ipotesi oligarchiche. Quindi è deludente prima il silenzio e poi le rimostranze dell’autore/autrice; ma forse c’era da attenderselo se chi comunica è stato battezzato da chi ha interesse a dare al comunicato il proprio senso piuttosto che il senso della verità. Ora però lasciamo l’autore/autrice del comunicato ad arrovellarsi su cosa sia democratico e cosa invece oligarchico, per passare all’altro punto; magari quando si sarà spremuto/a le meningi, troverà una risposta e ce la esprimerà, spiegandoci anche come abbia sostenuto nel comunicato di lunedì 6/2 “Ieri sera l’Assemblea, che è davvero nel nostro Movimento un organo sovrano, ha scelto la sua candidata Sindaco, Lia Romè…” se poi aveva in serbo un colpo di teatro per sconfessare, verbalmente, tale affermazione di liceità.

Ma c’è un fatto più significativo riguardo il candidato sconfitto, Mario Cicero. Avevamo detto che, a nostro modesto parere, quella sera aveva un po’ vinto anche lui visto che la candidata sindaco designata, Lia Romè, era entrata nel mondo della politica spinta da lui. Inoltre Lia Romè rappresentava la realizzazione di ciò che Cicero confessava appena questa estate – almeno a parole, solo a parole ora dovremmo dire – come il suo sogno: un candidato donna. Eravamo certi che la ragion di tutti prevalesse sulla ragion propria, sui narcisismi che spingono a chiedere per sé i posti importanti. Era l’occasione giusta per dimostrare di non essere innamorati della carica ma solo delle idee, a maggior ragione per il fatto che nessuno avrebbe potuto negare un ruolo attivo e significativo. Invece ha avuto ancora la meglio l’io, narciso e un po’ demagogo. Ed ecco che  le premesse appena blandite nel primo post, poi sussurrate nei commenti ad esso, si sono moltiplicate e concretizzate e alcuni inviti a “fottersene” e a candidarsi comunque, sembrano essere ormai diventati raccolta di firme.

Ma raccolta di firme da presentare a chi? Certamente non al movimento Andiamo oltre, che ha deciso democraticamente e non può né tornare indietro né tener conto di firme di non iscritti.

Forse firme da presentare al partito o movimento politico di appartenenza di Cicero? Difficile, visto che – almeno per quanto ne sappiamo – non appartiene più da tempo a una entità di questo tipo.

Allora firme da presentare ai cittadini? E da quando in qua un presunto candidato sindaco chiede l’approvazione dei cittadini del suo paese come fosse una pre elezione? E inoltre in questo caso, perché ha cercato prima e ottenuto poi una matrice politica che lo legittimasse fondando, assieme ad altri, Andiamo oltre?

Per esclusione arriviamo a dire allora che le firme dovrebbero essere presentate a lui stesso, in un teatrino autoreferenziale che lo spinga, novello Menenio Agrippa, a sacrificare la sua coerenza politica con il bene del “sistema paese”. Davvero un gran bene vuole al “sistema paese”. Ma se si provasse a togliere “sistema” e a lasciare solo “paese”?

Alla luce dei fatti, ora sì che capiamo come il suo animo, già dal momento successivo al completamento dello scrutinio, si sia probabilmente gonfiato di risentimento e, mentre inneggiava al rinnovamento, abbia cominciato ad architettare una riscossa — sebbene al momento solo presunta – che, a nostro avviso, rischia di diventare un epilogo, un epitaffio, non proprio decoroso: “Così è uscito di scena uno che non avrebbe voluto mai uscire di scena”.

E così arriva l’ultimo post di Mario Cicero: al solito ricco di errori concettuali, grammaticali e sintattici e non ricco di idee, se si declassano ad affermazioni di “Cicero pro domo sua” – mai detto è stato più calzante- le doti politiche e amministrative che nel post dice di avere. Così, con un concetto di democrazia davvero soggettivo ed adattabile all’esigenza del momento, perfino con giravolte di 180 gradi giustificabili, si autocandida, mascherando il fallimento etico che sta provocando nel movimento Andiamo oltre, quel movimento che magnificava fino a poco fa quando sembrava essere lui il candidato sindaco designato, da non confondere con democraticamente scelto.

E poi, di quale viceré si parla nel post? Chi considererebbe Castelbuono un feudo? Siamo convinti che se ponessimo queste 2 domande anche alle mura di Castelbuono, risponderebbero tutte con un nome. Ma, ne siamo certi, non quello che ha in mente il già sindaco e già – ora non più – candidato sindaco di Andiamo oltre. E speriamo non sia anche già convinto di essere un nuovo messia, perché nella recente vita politica nazionale, in tutta sincerità, già ce n’è bastato uno.

A parte la solita esaltazione da “Cicero pro domo sua”, cosa dice il post? Onestamente ci è sembrato esprimere solo due cose. La prima è un invito a Lia Romé, candidato sindaco democraticamente scelto da Andiamo oltre, ai sostenitori di questo candidato e a tutto il PD, di ritornare all’ovile – quello dell’autore del post – e che lui solo ha parole di vita – politica – eterna. Riteniamo che, non essendoci dall’altra parte delle pecore, il rientro all’ovile – per quanto metaforico – sarebbe semplicemente offensivo e autolesionistico. La seconda cosa espressa è una minaccia, velata quanto vogliamo, che brandisce le firme come una clava, come un’arma, da usare contro chi si oppone. Firme spontanee si legge, ma solo per chi è di bocca buona – non è il nostro caso – e considera spontanea una firma rivendicata da qualcuno che gira di porta in porta come i tipici fedeli di religioni diverse da quella predominante o i procacciatori di contratti di energia, telefono e gas.

Ma a proposito delle firme, ammessa e non concessa la spontaneità e la consistenza enumerabile in “decine” – non centinaia – come dice il beneficiario, siamo convinti che la risposta giusta a questa velata minaccia assomigli a quella data da Pier Capponi, capo della repubblica di Firenze, al prepotente re francese Carlo VIII che avrebbe voluto vessare economicamente quella città, minacciando altrimenti di suonare le sue trombe e scatenare quindi il suo esercito contro di essa. Pier Capponi rispose calmo, forte come solo i capi democratici possono esserlo: “E noi faremo suonare le nostre campane”. La storia riporta che Carlo VIII se ne andò con le pive nel sacco.

Abbiamo motivo di credere che stavolta le firme raccolte possano essere “le trombe” di Carlo VIII. E le campane? Ora come allora sono la dirittura etica e la forza di chi è stato investito democraticamente. Perché i giochetti autoreferenziali non pagano a Castelbuono. Castelbuono sa essere sorniona, asseconda chi cerca di emergere se ne ha i numeri, ma quando capisce che qualcuno cerca di primeggiare ad ogni costo per se stesso, da sorniona diventa prima strafottente e poi spietata.

E se qualcuno vuole verificarlo, si accomodi, ma stia attento a non imboccare il viale del tramonto con dubbia dignità, come Carlo VIII.

Maurizio Cangelosi

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