Come nasce il panettone siciliano? Fiasconaro apre le porte del laboratorio

 

Dal rito del lievito madre alla confezione fatta a mano: ecco come nasce in Sicilia il più nordico dei dolci italiani, prodotto a Castelbuono al ritmo di settemila pezzi al giorno. Nicola Fiasconaro, titolare dell’omonima pasticceria, racconta le fasi e mostra il processo artigianale con cui vengono confezionati i suoi dolci natalizi.

 

Alle otto della sera si onora la madre. Così comincia il rito del panettone siciliano nello stabilimento Fiasconaro di Castelbuono alle porte del parco delle Madonie. “Le parlo, le faccio sentire che le voglio bene e ogni sera alle otto sono qui da lei” racconta Nicola Fiasconaro che non è il tipico siciliano con l’ossessione della mamma.

 

La madre è il nucleo di pasta acida che consente che il suo panettone venga fatto a lievitazione naturale, ogni sera alle otto la madre deve essere rigenerata perché è materia viva. Metà viene impiegata per l’impasto giornaliero e metà viene reimpastata con acqua e farina – sempre le stesse – per ritornare a far prolificare quelle colonie batteriche che la mantengono in vita. La metà usata per la produzione quotidiana si moltiplica di volume ogni tre ore e impastata con la farina e gli altri ingredienti ha bisogno di tre giorni, fra tempi di lievitazione, cottura, raffreddamento e finalmente packaging, per diventare quel panettone siciliano che ha conquistato il mondo.

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A Castelbuono tutto viene fatto artigianalmente, una catena di produzione che quando lavora a pieno regime, da agosto a dicembre, conta appena 100 dipendenti che riescono a fare 7000 panettoni al giorno di 15 gusti diversi. La madre che genera i panettoni Fiasconaro ha 65 anni e una storia che si intreccia con la genialità del suo adepto. L’idea di fare il panettone nella storico laboratorio di Castelbuono nasce dall’incontro fortuito fra Nicola Fiasconaro e il maestro Busnelli, nipote del capo-canditore del gruppo Alemagna. Nicola si trovava a Chioggia Sottomarina, provincia di Venezia, per seguire un corso che gli avrebbe permesso di fare le sculture con lo zucchero soffiato. Nella stanza a fianco, Busnelli stava spiegando come da una pallina di pasta acida si può fare il panettone e la curiosità per quel dolce così lontano dalle sue tradizioni spinse Fiasconaro ad ascoltare: “Per me il panettone era una magia, qualcosa di lontanissimo e inarrivabile che nasceva in scatola, dopo avere visto che si poteva fare il mio pensiero andò subito a mio padre che ogni natale ne comprava 5mila delle più famose marche per venderle in negozio”.

 

Entusiasmato torna a Castelbuono e dice a suo padre: “Da oggi facciamo il panettone”. L’anziano pasticcere lo prese per pazzo, pensava di aver mandato il figlio a studiare al nord per vendere meglio i prodotti siciliani, ma non che volesse capovolgere l’Italia dei dolci. Così comincia l’avventura siciliana del panettone, inizialmente comprando il lievito e le farine bilanciate con l’idea di mescolarle agli ingredienti tipici della pasticceria siciliana. “E’ vero il panettone nella preparazione non fa parte della nostra cultura ma gli ingredienti sono i nostri: le arance candite, l’uva sultanina, il vino marsala, le mandorle di Avola, il pistacchio di Bronte, le nocciole. Facendo il panettone così io, dopo Garibaldi, ho unito l’Italia” racconta Fiasconaro. Dai paesi delle Madonie cominciano a venire a Castelbuono per comprare i panettoni Fiasconaro.

 

Nel 1990 l’idea di utilizzare la manna, la resina del frassino tipica della zona, ed è l’anno del Mannetto, formula registrata, che presto spopola ben al di là delle Madonie e dalla Bauli mandano dei tecnici per spiare il “terrone che fa il panettone”. Incrementando la produzione, Fiasconaro è costretto a fare anche alcuni accorgimenti tecnici, perché il panettone una volta tirato fuori dal forno, avendo un cuore a 100 gradi tende ad afflosciarsi come un soufflè e l’accorgimento è quello di tenerlo capovolto mentre raffredda. “Finché erano cento panettoni al giorno quelli che facevamo, potevamo girarli a mano ma quando diventarono mille e poi duemila era impossibile” prosegue Fiasconaro.

 

Nei processi industriali vengono usati gli abbattitori termici, ma non volendo rinunciare alla produzione artigianale il maestro Nicola studiò insieme a un carpentiere suo concittadino dei carrelli ribaltabili a 360 gradi, nei quali i panettoni vengono infilzati in degli appositi spiedi. Nel frattempo il panettone siciliano incuriosisce e Rai Uno gli dedica un servizio, tutta Italia può vedere come si fa il panettone siciliano compreso un pasticcere lombardo, Carlo Rossi, che rimane folgorato dal meccanismo con cui Fiasconaro capovolge i suoi i panettoni e decide di andarlo a trovare. Nicola gli mostra il segreto dei carrelli girevoli. Quindici giorni dopo Rossi si presenta a sorpresa al laboratorio di Castelbuono con una valigetta frigo. “Sembrava una di quelle che usano le spie. Invece dentro c’erano una pallina di pasta acida, un po’ di farina e una bottiglietta con dell’acqua” racconta Nicola.

 

Da quel giorno sono passati 15 anni, in cui sera dopo sera Fiasconaro ha “onorato la madre”, quella palla di pasta acida che ha dovuto domare, cambiando progressivamente l’acqua lombarda con cui era cresciuta con l’acqua siciliana che l’ha fatta diventare mediterranea. “Da quella pallina ogni sera nasce una famiglia che di tre ore tre ore lievita e poi si unisce al burro di panna, alle uova fresche, allo zucchero”. Questi gli ingredienti dell’impasto del panettone siciliano che vengono mescolati insieme dentro delle enormi impastatrici. Quando la maglia glutinica, l’impasto, diventa lucida ed elastica, si uniscono i singoli ingredienti che ne differenziano il gusto, da quello tradizionale a quello pere e cioccolato, frutti di bosco, castagne, pistacchio, pesche e ananas, a quello interamente biologico o senza lattosio per gli intolleranti. Dall’impasto al primo stampo il panettone viene condotto a mano e poi spedito in camera di lievitazione per dieci ore, poi nel forno per 65 minuti, quindi capovolto e mandato a riposare per venti ore prima di passare per le mani frenetiche delle donne Fiasconaro che lo avvolgono e infiocchettano per spedirlo dal Giappone all’Australia. Una favola vera, fatta di audacia, sperimentazione, fatica e grande fiducia in un prodotto artigianale e nella possibilità di capovolgere l’Italia.

 

(larepubblica.it – di ELEONORA LOMBARDO)

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