I panettoni Fiasconaro, l’Ypsigrock e Castelbuono tutti insieme nel nuovo romanzo illustrato di Colapesce e Baronciani

Il prossimo 19 giugno uscirà per  Bao Publishing un romanzo illustrato ossia una cosiddetta “graphic novel”  a cura del cantautore  Lorenzo Urciulo in arte Colapesce e il disegnatore Baronciani. Il romanzo narra di  Nicola, il protagonista di “un viaggio in Sicilia, che affronta come Goethe, ma più ignorante”.

I luoghi  del racconto, posti ancora tutti da scoprire e schegge di internazionalità, come l’Ypsigrock di Castelbuono. Nell’anteprima del libro, che potete leggere cliccando su questo link, si parla inoltre degli squisiti panettoni Fiasconaro che il protagonista avrà la possibilità di gustare visitando appunto Castelbuono. Cosa aggiungere? sicuramente un imperdibile e affascinate prodotto editoriale.

Per Maggiori info vi invitiamo a leggere l’articolo in basso tratto da www.sicilymag.it

Il quotidiano “Le Monde” gli ha recentemente dedicato una pagina definendolo “L’avenir d’Italie, l’unico erede tardivo di Lucio Dalla e Franco Battiato”, mentre il settimanale musicale inglese “NME” lo aveva inserito tra i migliori cinque progetti pop provenienti da Paesi non di lingua inglese. Il siracusano Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, è ormai molto più che una semplice promessa del cantautorato italiano.

 

Colapesce/Baronciani, viaggio in Sicilia tra la Balistreri e gli Smiths

LIBRI E FUMETTI
Esordio nel graphic novel per il cantautore siracusano che ha scritto la “storia” de “La distanza” corredata dalle immagini del disegnatore marchigiano. «L’idea iniziale era quella di scrivere un racconto alla “Alta Fedeltà” di Nick Hornby ma ambientato a Catania. Alla fine è più vicina a “L’avventura” di Antonioni come immaginario. Presentazione il 17 giugno a Catania
di Gianluca Santisi

Il quotidiano “Le Monde” gli ha recentemente dedicato una pagina definendolo “L’avenir d’Italie, l’unico erede tardivo di Lucio Dalla e Franco Battiato”, mentre il settimanale musicale inglese “NME” lo aveva inserito tra i migliori cinque progetti pop provenienti da Paesi non di lingua inglese. Il siracusano Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, è ormai molto più che una semplice promessa del cantautorato italiano. Dopo l’ep omonimo del 2010, ha stupito tutti con l’album d’esordio, “Il meraviglioso declino” (2012, 42Records), premiato con la Targa Tenco per la migliore opera prima e con il Pimi (Premio Italiano Musica Indipendente), sempre per il miglior esordio. Nel febbraio di quest’anno è uscito il suo secondo disco, “Egomostro”, al quale è seguito un apprezzato tour invernale che ha toccato le principali città italiane. Ma non è delle sua musica che parleremo in questa occasione. Il prossimo 19 giugno, infatti, uscirà per Bao Publishing il primo romanzo grafico di Colapesce, intitolato “La distanza” e realizzato con il disegnatore Alessandro Baronciani. È il racconto, poetico e ironico allo stesso tempo, di un viaggio attraverso l’estate siciliana. La presentazione siciliana, con i due autori, si svolgerà mercoledì prossimo, 17 giugno, alle ore 18, alla Feltrinelli di Catania, affiancati da Gianluca Runza. Nella sala eventi di Feltrinelli è possibile ammirare le riproduzioni delle illustrazioni di La distanza fino al 30 giugno.

Lorenzo Urciullo a.k.a. Colapesce e Alessandro BaroncianiLorenzo Urciullo a.k.a. Colapesce e Alessandro Baronciani

La prima è d’obbligo: come è maturata l’idea di scrivere un graphic novel e perché questa scelta rispetto ad altre forme, come per esempio quella più “classica” di un libro?
«L’idea iniziale era quella di scrivere un racconto alla “Alta Fedeltà” di Nick Hornby ma ambientato a Catania. Avevo già parecchio materiale ma l’idea è naufragata quasi subito in favore del graphic novel. È rimasto lo spettro di quel racconto, anche se “La Distanza” parla d’altro. Alla fine è più vicina a “L’avventura” di Antonioni come immaginario. Da un paio d’anni a questa parte leggo parecchi fumetti, alcuni sono potentissimi, lo trovo un mezzo semplice, diretto e soprattuto in una fase di “rinascimento” rispetto a molta neo-letteratura nata stanca e con il peso dei “classici” alle spalle. L’ultimo (stupendo) che ho letto è “K.O. a Tel Aviv” di Asaf Hanuka. In alcune tavole ti accorgi facilmente della potenza narrativa del disegno unito al testo giusto».

Sei un appassionato di fumetti? Se sì, quale è stato il tuo percorso di lettore?
«Mi piacciono, ma non sono un fanatico del fumetto seriale. Da adolescente ne ho letti parecchi, poi mi sono allontanato da quel tipo di letture in favore dei romanzi e dei saggi, ma da un paio d’anni, come dicevo prima, ho ripreso e quando riparti è come una droga, non smetti più. Il mio primo grande amore da “adulto” con il graphic novel è stato “Maus” di Art Spiegelman. Ogni tanto rileggo dei passaggi. Mi ha fatto ridere, riflettere, piangere, sognare, amare, è davvero un libro magico. Un altro autore che adoro è Craig Thompson, “Blankets” è stupendo. Ma anche l’Italia non scherza. Gipi, secondo me, è un gigante a livello mondiale e il secondo posto allo Strega per Zerocalcare è sintomatico che quest’arte non è più una cosa da ragazzini e basta».

La collaborazione con Alessandro Baronciani come è nata?
«Ci siamo conosciuti nel 2012 a Milano, al Magnolia, grazie a Emiliano Colasanti, il mio manager. Avevo letto il suo bellissimo libro “Quando tutto diventò Blu”, che è anche il titolo di una mia canzone tratta dal primo album. Da lì in poi siamo rimasti in contatto e col tempo siamo diventati ottimi amici. Successivamente, nel 2013, è nata l’idea del tour acustico nei teatri occupati in Sicilia: chitarra, voce e i suoi disegni dal vivo; esperienza che è andata benissimo con addirittura due sold out al Teatro Coppola di Catania, nel dicembre dello stesso anno abbiamo deciso di fare un fumetto insieme. Inizialmente eravamo senza editore, ma quando lo abbiamo proposto a Caterina e Michele di Bao Publishing ci hanno creduto da subito e ci hanno finanziato il progetto e messo a disposizione la loro grande competenza in materia».

La cascata di Pantalica nel graphic novel

Quello di Nicola, il protagonista, è “un viaggio in Sicilia, come Goethe, ma più ignorante”. Tratteggi un’altra Isola rispetto a quella iconografica e folkloristica più nota, fatta di posti ancora tutti da scoprire e schegge di internazionalità, come l’Ypsigrock di Castelbuono.
«Sì, volevo che venisse fuori una Sicilia reale e attuale, e non la solita solfa folkloristica carrettino siciliano, cannolo, coppola e lupara. La Sicilia è molto altro e certo conservatorismo, a mio avviso, più che preservare le tradizioni le ha demolite. Dalla musica in dialetto con innesti moderni, all’arte del decorare le tegole, tutta arte spazzatura che ha indebolito l’aspetto più vero e profondo dell’isola. La bellezza della nostra terra è la diversità, ma gli artisti nostrani continuano a sognare vecchi frantoi arredati come i peggio locali di Milano. L’Ypsigrock è un ottimo esempio di come essere internazionali senza essere esterofili e preservando in maniera sana cultura e tradizione. Nella distanza troverai Rosa Balistreri e gli Smiths e scoprirai che hanno più cose in comune di quanto uno si possa immaginare. L’arte sincera arriva al di là di ogni limite. Dovremmo avere anche noi i nostri Tinariwen e invece abbiamo il folklore da pianobar».

Il protagonista ti assomiglia molto non solo fisicamente ma, credo, anche biograficamente. Che sensazioni ti ha dato questo modo di metterti su carta?
«Non è un romanzo autobiografico, anche se negli ultimi anni ho avuto molto a che fare con le distanze, sia geografiche che emotive. Sono partito da lì e inevitabilmente, come accade nelle mie canzoni, cadono sul foglio pezzi di cuore ed esperienze personali. Il protagonista a livello grafico a volte somiglia a me e a volte a Baronciani, credo che il maestro l’abbia fatto apposta per celebrare la nostra amicizia».

Catania ne “La Distanza” è una maglietta degli Uzeda indossata dal protagonista e soprattutto “Rock86”, lo storico negozio di dischi. A Piero Toscano, il proprietario, hai riservato più che un omaggio…
«Ho passato più ore da Rock 86 che all’università. Voglio bene a Piero, è il mio analista musicale e spero che resista il più a lungo possibile in questo periodo di crisi del supporto. Ascoltare i dischi su Spotify è comodo, ma il negozio di dischi è un altro pianeta, condividi esperienze con persone reali e non con un account. Quel luogo è pieno di storie che meritano di essere raccontate e prima o poi lo farò. Così come voglio un gran bene ad Agostino e Giovanna degli Uzeda che mi hanno sempre supportato (e a volte sopportato)».

Il viaggio di Nicola parte da Catania e finisce a Palermo, passando per la punta sud est dell’Isola. Cosa ti ha ispirato la scelta dei luoghi?
«Come dicevo prima, non ero e non sono interessato a raccontare solo la Sicilia da Lonely Planet, ma l’isola meno nota, dalla necropoli di Pantalica alla pizza “siciliana” di Urna a Viagrande, Marzamemi, Castelbuono, il barocco di Noto ma anche le case dell’800 con le orride finestre di alluminio anodizzato. Ho scelto dei luoghi a me cari per vicende personali… Avrei fatto un percorso più lungo e dettagliato ma Baronciani e l’editor mi avrebbero scoppiato le ruote della macchina».

Le granite, le cartocciate, le siciliane, il panettone di Castelbuono e il Nero d’Avola: il tuo racconto è un viaggio non solo geografico ma anche tra i sapori della nostra Isola. E’ un punto di forza che non sappiamo sfruttare?
«In realtà forse è l’unica cosa che sappiamo sfruttare: “Quannu si tratta di manciari semu i nummiru unu”. L’Italia è piena di ristoranti o bar con specialità siciliane, forse non siamo bravissimi nella comunicazione, questo si. Anche se il panettone di Fiasconaro l’ha mangiato pure il Papa».

Tra le tante citazioni presenti nel libro riferite alla Sicilia ce n’è una, molto amara, di Rosa Balistreri: “Terra ca nun teni cu voli partiri e nenti cci duni pi falli turnari”.
«Credo che questa asserzione sia ancora attualissima, purtroppo. Forse è questo fascino maledetto che ci tiene legati così tanto a questa terra. La Sicilia è come una femme fatale, basta guardarla negli occhi una volta e sei fregato, le perdoni tutto. Anche se fa la stronza e ti fa soffrire, sei sempre li ai suoi piedi».

Il viaggio di Nicola da Pantalica a Punta RaisiIl viaggio di Nicola da Pantalica a Punta Raisi

Racconti che ai tempi della guerra le donne aspettavano per anni, spesso vanamente, il ritorno dei loro mariti. Oggi anche non rispondere ad un sms può mettere in crisi un rapporto. Ci troviamo davanti ad un generazione che sconosce il piacere dell’attesa, che vuole tutto subito e a portata di… smartphone?
«La situazione è preoccupante perché i giovani, come dici tu, vogliono tutto subito, quindi si sta assottigliando il concetto di sacrificio, cariando la bellezza dell’attesa. Però di base sono comunque per il futuro: è l’unico modo per vivere il proprio tempo e non stare sempre lì a piangersi addosso con frasi tipo “si stava meglio quando non c’erano i telefoni e ti davi l’appuntamento in piazza” o simili. Dobbiamo imparare a convivere con la tecnologia, in maniera sana e non morbosa, ma essendo in una fase di passaggio l’uomo non sa ancora gestire questi mezzi che hanno cambiato radicalmente il nostro stile di vita. Come quando inventarono il grammofono e qualcuno pensò che avrebbe decretato la fine della musica dal vivo. Sono passati quasi 150 anni e ancora i giovani, fortunatamente, preferiscono sudare e saltare ai concerti e i festival sono sempre più popolati. Quello che mi preoccupa e che cerco di spiegare nel monologo finale è il nostro rapporto con la pausa (che poi è anche alla base della bellezza della musica). Ma non sveliamo troppo ai potenziali lettori».

Spesso Nicola/Lorenzo si lancia in invettive contro tutto quello che non tollera: le associazioni culturali locali (“Il cancro della cultura”), l’Erasmus, il cattivo gusto “che è entrato dalla tv è ha invaso la Sicilia”, l’esterofilia musicale di noi italiani. Ne hai per tutti e senza mezze misure…
«Nicola non è Lorenzo, anche se la mia intolleranza spesso mi porta a una misantropia latente. Ma ci sto lavorando, adesso gestisco meglio questo aspetto torbido della mia personalità. Fortunatamente posso scaricare le mie paure, la mia intolleranza verso l’uomo, le religioni, le Birkenstock e in generale il mio “odiare i vivi” (per dirla alla Edda) nei personaggi delle canzoni o delle storie che scrivo. Come in fondo Woody Allen fa da 50 anni nei suoi film: analizza il mondo partendo dagli aspetti scomodi della sua personalità».

Ora che il romanzo è stampato non è che ci hai preso gusto e vuoi continuare?
«Ancora è presto per dirlo e voglio godermi questo momento, ma non ti nascondo che sento già la nostalgia di questo lavoro».

Da un musicista che si è incuneato nel mondo del fumetto, ad un disegnatore che da anni si cimenta anche sui palchi. Alessandro Baronciani, pesarese di nascita ma milanese d’adozione, oltre ad essere un apprezzato disegnatore è il cantante e chitarrista degli Altro e ha dato vita al progetto darkwave “Tante Anna”. Nel 2006, ha pubblicato per Black Velvet “Una storia a fumetti”, raccolta delle sue prime autoproduzioni. Sempre per Black Velvet, sono usciti “Quando tutto diventò blu” e “Le ragazze nello studio di Munari”. Nel 2013 ha dato avvio alla collaborazione con Bao Publishing pubblicando “Raccolta – 1992/2012».

Com’è stato collaborare con Lorenzo? Ti ha dato delle indicazioni precise sulla scelta delle inquadrature o ti sei preso delle libertà interpretative basandoti solo sulla sceneggiatura?
«Magari ci fosse stata una sceneggiatura! In realtà siamo partiti subito “on the road”. Abbiamo pensato insieme alla trama generale della storia, mentre i caratteri dei personaggi sono invenzioni di Lorenzo, poi io sono venuto giù in Sicilia durante l’estate e insieme abbiamo rifatto noi stessi il viaggio dei personaggi del libro. Io sono innamorato della Sicilia, dal mio primo viaggio a Catania di una decina di anni fa. Me la sto girando tutta, anno dopo anno. Mi mancano un po’ di isole e Palermo, che me la voglio tenere per l’ultima. La mia ciliegina sulla torta, anzi sulla cassata. Durante questa breve trasferta ho fatto tantissime fotografie, di tutto quello che mi colpiva di più della Sicilia, cercando di restituire tutta l’estate che mi colpiva gli occhi. Una Sicilia inedita, mai vista in cartolina. Spero che questa cosa si colga».

A livello stilistico, la prima cosa che salta all’occhio solo le tavole sviluppate sulla doppia pagina, con una estensione “orizzontale” che dà respiro al racconto. Una scelta molto precisa che hai adottato per una ragione particolare?

«Con questo libro ho adottato un nuovo stile. Era da un po’ che ci pensavo. Non sopportavo più il confine, il bordo bianco della pagina. Avevo come l’impressione che una storia a colori sulla Sicilia non potesse “esplodere” se rimanevo all’interno dei confini della pagina. Il libro doveva avvolgere il lettore, aprirsi, continuare da pagina a pagina come in una sorta di panoramica. L’effetto alla fine sembra funzionare, tutti ne sono entusiasti quando aprono il libro. Ci si tuffa dentro la storia. Inoltre questo è stato il mio primo libro a colori, completamente a colori».

Hai utilizzato delle colorazioni molto nette, senza sfumature. Ci sono persino delle vignette monocromatiche.
«Non mi piace tantissimo l’effetto della sfumatura nel colore o l’effetto troppo realistico che può dare un software di grafica come Photoshop. I miei disegni sono al tratto nero. Il tratto nero divide le forme e le separa dallo sfondo del resto dagli altri personaggi. Nella realtà non abbiamo un tratteggio nero intorno, quindi anche i colori fanno parte di una sorta di astrazione. Le pagine di questo libro sono ricche di colore. Il colore, però, sottolinea anche uno stato d’animo. Quindi per me è stato utile ogni tanto sottolineare delle inquadrature con un solo colore, che facesse intuire il modo in cui andava letta l’immagine».

Leggi un’anteprima del libro.

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