La neve del 1962 a Castelbuono


L’abbondante nevicata della scorsa settimana ha inevitabilmente riportato alla mente quella, memorabile, del gennaio 1981 e Paolo Cicero col suo bel post pubblicato su questo blog ha rinfrescato (ma si era già abbastanza freschi) la memoria di chi quei giorni li ha vissuti e ha reso edotti quanti, ahi loro, non la videro, condendo il tutto con interessanti particolari per molti di noi inediti. Io, per parlare d’altro rimanendo in tema, dirò di alcune fotografie (in parte note) relative alla dimenticata nevicata di fine gennaio 1962.

Intanto queste due fotografie, stampate in formato 10 X 15 circa, ci mostrano come la mattina del 31 gennaio 1962 si presentava il versante nord del paese all’occhio fotografico del direttore del giornale Le Madonie, Giovanni Lupo.

I due scatti furono eseguiti dal terrazzino dell’allora casa Lupo, â strata longa, nello stesso edificio che ospita la privativa Di Garbo – Paparuni –. Nella foto di sinistra al di là dei tetti delle case della strata longa situate fra via Garibaldi e via Collotti, si può notare la copertura della terribile costruzione, che sorse sul delizioso terrazzo della Nebrodese, e il non meno obbrobrioso edificio delle ACLI, incollato sul fianco della chiesa del Crocifisso. L’immagine di destra, rende maggiormente l’idea di quanta neve cadde quella notte, soprattutto fissando l’attenzione sui tetti e sul cornicione dell’edificio in primo piano, la casa Fiasconaro, ma anche sui tre che si incontrano scendendo fino Ncap’u ponti. Traguardando sopra la ringhiera innevata in primissimo piano si nota, infatti, il terrazzino coi vasi e il pergolato del Ristorante Otollo.

Come si vede, in paese, il 1962 si presentò nel peggiore dei modi (e si può dire, a buon diritto, che sarebbe continuato anche peggio). Tutto il meridione d’Italia, infatti, fu stretto in una morsa di gelo e la neve cadde copiosa anche sulla costa, come documentano queste fotografie di Palermo che ritraggono la stazione Centrale, i paraggi dell’attuale via Principe di Palagonia e la parte alta dell’attuale viale Lazio col viale Michelangelo. Se Palermo si presentava così, figuriamoci quella stessa mattina come poteva essere u Bbafurcu, a Geraci.

In paese la neve arrivò a tre riprese, a partire dal 18 gennaio con una spessa coltre, che accese subito l’entusiasmo dei più appassionati, i quali non persero l’occasione per fare una sgambata con gli sci fuori paese. Nevicò di nuovo dopo i giorni della merla, ma il picco si verificò fra il 30 e il 31 gennaio allorquando la neve fioccata in paese superò i 50 cm. Un strato mica da ridere per i nostri miseri 423 s.l.m., ma si tratta sempre di cosa da ridere se messi a paragone coi due metri e passa che nello stesso momento ammantavano il grazioso Piano Cacaggiddebbi, quel nostro sito ameno a monte della Sempria, che a un certo punto, a causa di deliri indotti dalla febbre del nascente impero, gli  indigeni cominciarono a chiamare Piano Imperiale. Un nome oggettivamente orrendo, che ancora oggi resiste. Nelle stesse ore a Piano Battaglia le abbondantissime nevicate avevano bloccato una settantina di sciatori e solo dopo tre giorni di duro lavoro fu possibile raggiungerli e riportarli a valle.

Nel 1962, si sa, non si era ancora entrati nel boom economico e soprattutto ci si trovava a distanza siderale dall’epoca insulsa dei selfie. Più razionalmente,  si coltivava l’hobby della fotografia e diversi giovanotti avevano le loro belle Kodak, Leica, Comet 127 ottica fissa con messa a fuoco manuale, tempo di scatto e diaframma regolabili, così da ottenere anche la profondità di campo voluta.

Questa foto, stampata in formato quadrato da un negativo 6 X 6, fu scattata quella stessa mattina, ppû prìeu dâ nivi, dal ragioniere Alfonsino Di Garbo con la sua Rolleicord. Sul balcone centrale destro del vecchio municipio, con la ringhiera panciuta, i rosoni e i circeddra in ferro battuto, fra l’abbondante neve ancora fresca, per farsi immortalare da Alfonsino posano il vigile urbano Pietro Macaluso, meglio noto come Pitrinu Carrata, don Liborio Carollo e il giovanissimo dipendente dell’ufficio di segreteria, Pietro Bonomo.

I due balconi centrali corrispondevano allo spazioso ufficio del sindaco, usato anche come aula consiliare. Questa fotografia è l’unica che si conosca in cui il prospetto del municipio sia stato ripreso frontalmente. Come si vede, i due balconi erano separati da una corona in basso rilievo che racchiudeva un fascio littorio, rimosso prontamente alla caduta del fascismo, i due grandi portoni (quello che si intravede è l’ingresso del Corpo di guardia) erano separati, invece, dalle lapidi che ricordano i caduti delle due guerre. I fregi e gli elementi decorativi, risalenti ai restauri del 1932, pur visibili in parte, forniscono con buona approssimazione l’idea di come doveva essere il prospetto del vecchio municipio. Ma rendono maggiormente conto del grado di scelleratezza che animò sia chi ideò, sia chi decretò la demolizione di questo elegante edificio.

Ma la nevicata del 1962 costituisce un importante caposaldo anche per la storia della fotografia. Proprio sul finire del 1961, Peppino Carollo, che dalla fine della seconda guerra mondiale aveva continuato l’attività di fotografo del padre, producendo peraltro belle fotografie, convinse Peppino Mazzola – Napulìeddru –  a rilevare il suo studio fotografico. Quest’ultimo, come si dice da noi, un si fici tantu làriu, anche se c’era il non piccolo problema che lui di mestiere faceva lo stagnino e la macchina fotografica l’aveva vista solamente da lontano. Peppino Carollo si sentì di insistere, rassicurandolo: Puppì, un ti scantari, ti insegno tutto io. E fu così che Peppino Mazzola, azzardando non poco, si convinse a cambiare mestiere. Mise da parte lo zinco dî canaluna e l’acido solforico e si impratichì di altri acidi, di camera oscura e di armeggiare con la Rolleiflex, divenendo – in seguito a innumerevoli sessioni di prove – un fotografo di professione.

Nei primi tempi, come da promessa fatta da Carollo, i due andarono in giro in tandem a fotografare e quelle del 31 gennaio 1962, riprodotte in basso, sono eseguite a quattro mani, nel senso che all’interno dello stesso rullino sono presenti scatti fatti da entrambi. Quando, tanti anni fa, con Sasà Mazzola cominciammo a studiare, cercando di datare queste prime foto di suo padre, avendo trascurato il suo periodo di tirocinio presso lo studio Carollo, non ci si spiegava come mai di alcune lui possedesse i negativi ed io, invece, avevo le stampe con il timbro Foto Carollo. Evidentemente, furono stampate da Carollo e i negativi (o una parte di essi), finito il periodo di praticantato, finirono nell’archivio Mazzola.

Le foto in esame furono scattate, come è facile capire, nel Piano san Paolo. Il tipo intabarrato nel suo scapolare è stato ripreso esattamente dove di lì a qualche mese sarebbe sorta l’area di distribuzione dei carburanti AGIP.

I paracarri semisommersi posti lungo lo stradone e il duplice filare di esili alberelli, che dovevano rendere decoroso l’ingresso al paese, ma che ben presto furono via via espiantati, si trovano all’altezza del cosiddetto ponte di Mercanti, un ponticello ora sparito e di cui si vede la spalletta di monte in primo piano nella foto di destra, che mostra la striscia di terreno compresa fra via Cefalù e via Mazzini, parte residuale di quelli che, un tempo, furono i pasciovagli, terreni adibiti al pascolo, ma gravati da uso civico.

Suggestiva per la maestosità dello sfondo la foto scattata in asse con la via Mazzini, la quale ci restituisce quegli scorci con le case popolari da poco costruite, gli ingombranti muraglioni di delimitazione del campo sportivo e il vuoto spinto al di sopra del lungo muretto, ancora libero dagli edifici della scuola agraria.

Questa superficie, unita a quella del campo sportivo e delle case popolari, ospitò la chiesa di san Paolo e, fino alla fine dell’Ottocento, il vecchio cimitero che poi si sarebbe trasferito, proprio lì di fronte, dove, a metà del rettifilo che porta â Cunigliera, si apre il viale dei cipressi.

Ritornando al ponte Mercanti, la foto con l’asino – famosissima – può essere considerata l’icona dello studio fotografico Mazzola. Il tipo, che si potrebbe definire in posa dinamica, e che ostenta un certo sprezzo delle avverse condizioni climatiche, dal momento che non sta andando a fare un pupazzo di neve ma certamente qualche rrancata in campagna, per quanto riferito da Peppino Mazzola, è Michele Spallino, il cui figlio, il compagno Tommaso Spallino, Masino, di lì a qualche anno sarebbe assurto a notorietà negli ambienti della sinistreria, al punto da essere candidato alla Camera dei deputati per il partito socialista italiana di unità proletaria (PSIUP), divenendo per molti, in paese – forse proprio perché non eletto – l’onorevole Spallino.

Ma l’immagine che più di tutte identifica la nevicata del 31 gennaio 1962 è questa bellissima foto animata eseguita da Peppino Mazzola â chiazza nnintra. Se l’immagine era nota da tempo, non era certa, invece, la data dello scatto né l’identità di molti dei personaggi presenti. Agli angoli della piattaforma quadrata che faceva da contorno alla fontana, si notano gli alberelli, poi eliminati nel 1966. Contrastando opportunamente l’immagine, in direzione della porta del carcere emerge la ringhiera alta che, fino al 1963, perimetrò l’aiuola attorno alla fontana. Il carcere è ancora in attività e la stanza a sinistra, di pertinenza del carceriere, ha ancora il balcone, che sarebbe stato trasformato in finestra durante i lavori di restauro dei primi anni ottanta.

Passando ai numerosi personaggi, accosciati si notano un giovanissimo professore Totò Lupo, che non aveva ancora legato il proprio nome al liceo scientifico di Castelbuono, e l’altrettanto giovane professore di disegno, Sariddru Allegra. Con il passamontagna, è Peppe Leta, non ancora operaio dell’ANAS – altrimenti non sarebbe stato lì – ma già caparbio suonatore di fisarmonica nei Moderns di Peppe Raimondo. A sinistra col cappello Borsalino è Peppino Fazio, apprezzato barman, ma allora si diceva barista. Peppino Fazio, per la sua professionalità, fu capace, più volte, di traghettare buona parte della clientela del bar in cui lavorò fino al giorno prima nel bar in cui aveva trovato nuovo impiego: una impresa che forse non sarebbe riuscita neppure al pifferaio magico di Andersen. Con la palla di neve in mano è Vincenzo Di Napoli – Napulìeddru – che si distinse nella battaglia di Macallè e che tutti ricordano, oltre che come Ardito d’Italia e adepto del duca d’Aosta come incazzosissimo gestore di una sala di bigliardini, dirimpetto a palazzo Turrisi, in forte concorrenza ccu zzu Fulippu anche per la palma di chi si ncipuddriava più rapidamente. A seguire don Paolo Raimondi, figura centrale della chiazzannintra di allora, specialmente dopo che nel 1957 fu nominato parroco della matrice vecchia. Il signore con i bastoncini da sci e il berretto di lana, nella bottega adiacente al pisciatoio, aveva una rivendita con mescita di vino. Si tratta di masci Iachinu Culotta il cui cognome, però, è Failla. Si tratta del papà di Luigino Failla, lo sfortunato calciatore del Castelbuono che l’anno seguente avrebbe perso la vita a seguito di un incidente di gioco sul campo di Montemaggiore. Poi Pietrino Macaluso, forse poco prima di essere immortalato al balcone del municipio dallo scatto di Alfonsino, e il fabbro Vincenzino Mazzola, detto u topolinu, che molti ricorderanno come operatore della pellicola al cinema Alessandro. Dietro di lui Filippo u mischinu (che come tutti i mischini di cognome faceva Mazzola). Un fratello di lui, masci Puppinu, quelli dai cinquant’anni in su lo ricordano come controllore dei biglietti ô cìnema ddranzusu nonché addetto all’affissione delle locandine. Quando diedero il film “Le Meravigliose avventure di Guerrin Meschino” la ragazzaglia non lo mollò per diverso tempo, andandolo a ncuitari anche nella sua bottega di scarparo â strata longa: «Masci Puppì chi c’è stasira ô cìnema»? E lui: «Guerrino Mischino»! E aggiungeva: «Figl’i bbuttana!!!!».

Proseguendo verso destra, con cappotto, fasciacollu, coppola e sigaretta troviamo il muratore mastro Michele Failla, quindi un giovanissimo Giovanni Rocca, papà del rock&roller Peppe Rocca. Col basco in testa e l’ombrello sotto braccio l’altro sfortunato giovane, Giovanni Gentile, che diversi anni dopo, a causa di un incidente sul lavoro, sarebbe stato costretto su una sedia a rotelle. Fra i diversi giovanotti in posa, da sinistra a destra, si riconoscono: Angelo Mazzola e Vincenzo Fiasconaro (che negli anni ’90, non so perché, chiamavano Vicìenzu a giostra), entrambi con il basco, Ciccio Pitingaro – Vinci –, Michele Di Napoli (figlio di Vicìenzu Napulìeddru), Peppe Biundo – Panza – che ricordo sempre con questo ciuffo alla Little Tony, anche prima di Little Tony e Gioacchino Conoscenti, che da grande sarebbe stato operaio della società telefonica. Infine Pino Lauro che, come tanti, iniziò nella sartoria di don Micuzzu Atanasio, adiacente a quella di don Ninì, ma con ingresso dâ rrua fera, e come altri apprendisti di quella sartoria avrebbe avuto un futuro da portalettere. Non è facile indovinare l’identità del ragazzino con la coppola e il viso rivolto verso il centro del gruppo. Ho avanzato una ipotesi ma non mi soddisfa, quindi è meglio lasciarla cadere. E’ quanto meno singolare, però, che in questa fotografia così partecipata manchi Ninì Cicìu – al secolo Ninì Di Giorgi – che, per svariati decenni, di quella chiazzannintra fu l’emblema, assieme alla fontana, al campanile e all’orologio.

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