La recensione del giornalista Francesco Inguanti sul film “Biagio” diretto da Pasquale Scimeca

Riceviamo e pubblichiamo di seguito l’interessante recensione del giornalista Francesco Inguanti sul nuovo film di Pasquale Scimeca in cui il regista siciliano analizza la figura di Biagio Conte.

Ricordiamo che il film sarà proiettato questa sera presso il Cine Teatro Astra di Castelbuono alle ore 18:30. L’incasso sarà devoluto alla missione Speranza e Carità di Biagio Conte.

Di Francesco Inguanti

Diciamolo subito: il Biagio Conte che presenta e spiega il regista Pasquale Scimeca nel suo film “Biagio” è molto diverso, e a molti è risultato anche sconosciuto, del Biagio Conte che tutti amiamo e vediamo per le strade di Palermo. Per intenderci: quello che raccoglie i barboni alla stazione centrale di Palermo, quello che è riuscito a dare accoglienza stabile e civile ad oltre mille persone, quello che con la carità degli uomini ha saputo metter su e gestire tre case di accoglienza per italiani e stranieri nel centro storico di Palermo.

Chi conosce bene Biagio sa quanto la sua scelta per gli ultimi sia stata sofferta e lunga, come ad essa sia arrivato dopo un lungo travaglio interiore, come le sue idee giovanili fossero diverse dalla realizzazione che ne è riuscito a fare in età adulta.

Il film illustra proprio i suoi anni giovanili e riesce a far comprende in modo semplice e efficace come il suo impegno per gli ultimi nasca da un percorso di fede drammaticamente e coerentemente perseguito fin da giovane.

Ma allora perché raccontare di Biagio gli anni del suo tormento interiore, quelli trascorsi, dopo aver abbandonato la famiglia e gli agi della città, prima in campagna a fare il pastore nella campagne di Raddusa? E poi il lunghi mesi del suo pellegrinaggio a piedi fino ad Assisi, per scoprire lì la forma concreta della sua vocazione?

La risposta è nella compartecipazione che il regista Scimeca ha dato nella realizzazione del film: “Non ho voluto raccontare – ha detto più volte – una storia, seppur bella e interessante, ma ho voluto presentare un uomo, nella sua più drammatica esperienza: la ricerca di Dio”. E questo tema, questa domanda, torna insistente in bocca a tanti personaggi. “Ma tu hai incontrato Dio?” chiede Salvatore, il figlio del pastore Rosario a Biagio prima della sua partenza per Assisi. “E tu credi in Dio?” chiedono con insistenza altri personaggi nel corso del film.

Più ci si addentra nelle vicende del giovane Biagio, più si percepisce che le domande dei personaggi sono quelle a cui il regista tende e verso cui si protende. Le domande di Biagio Conte e di Pasquale Scimeca si fondono e si confondono fino a giungere ad una sorte di dissolvenza: il dramma esistenziale di Biagio si scioglie lentamente per prendere le sembianze di quello di Pasquale e viceversa.

Figura di snodo del percorso è un frate francescano (realmente incontrato da Scimeca) oggi missionario in Africa, che svolge il compito di Virgilio, il quale accompagna Dante, in un percorso suo che non può evitargli, ma nel quale è prodigo di consigli e suggerimenti.

Tutto ciò viene spiegato con le scelte operate nel film.

Prima quelle tecniche: le inquadrature in campo lungo, i silenzi degli attori, il protagonismo della natura nella prima parte. A questa si contrappongono i primi piani, i dialoghi sempre brevi e efficaci, l’aumento dei personaggi nella seconda parte.

Poi quelle sugli attori: quasi tutti non professionisti, soprattutto quelli delle scene finali in cui Biagio inizia la sua attività caritativa tra i barboni della stazione centrale di Palermo. Anche il cane “Libero”, che accompagna Biagio dalla Sicilia a Assisi, è stato scelto alla stessa maniera. E’ stato prelevato dal canile municipale, che si trova vicino alla Missione, ed è stato addestrato dagli attori “a voler bene agli uomini, quelli che lo avevano maltrattato” ed alla fine ricambiando con una recitazione da far invidia ai suoi “colleghi” più famosi, ormai divi di televisione e cinema.

Il film com’era facile prevedere colpisce e appassiona, ma non fa “cassetta”. Poco proiettato nei circuiti ufficiali, ha trovato grande diffusione nel passa parola e soprattutto nel valore aggiunto che regista e attori riescono a dare nel dibattito che coinvolgente e appassionate si apre a conclusione delle proiezioni.

“Abbiamo girato in lungo e in largo la Sicilia – spiega il regista -. Siamo andati anche a Milano, Roma e in tante città d’Italia. Un regista quando fa un film aspetta i riscontri. Noi siamo andati e continuiamo ad andare insieme al film lì dove ci chiamano, per verificare in diretta i riscontri degli spettatori”.

E poi scherza: “Ci interessa come la gente percepisce e reagisce. Con tutto quello che finora è accaduto potremmo fare un altro film”.

 

Francesco Inguanti

 

 

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