Lettera aperta al vicepresidente del Museo Minà Palumbo, dottor Salvino Leone
Recentemente sulla pagina del gruppo facebook “Osservatorio naturalistico delle Madonie” è apparso un Suo post per mezzo del quale si rende nota la ricostruzione, all’interno del Museo, dello studio di Francesco Minà Palumbo.
Nel post, fra le altre cose, si legge che nel ricostruito studio del dottor Minà “può osservarsi uno spaccato della sua attività: il tavolo di lavoro con le lettere scritte ai maggiori naturalisti del tempo”. E’ noto che gli uomini di scienza con cui Minà ebbe rapporti epistolari furono più di trecento ed è altrettanto noto che le lettere a lui indirizzate sono conservate presso il Museo che porta il suo nome. Delle lettere scritte da Minà ai suoi corrispondenti, invece, sono note appena poche unità. Una di queste, spedita al botanico Filippo Parlatore nel gennaio del 1847, è stata da me rintracciata e pubblicata, per gentile concessione dell’Ente che la conserva, nella mia Bibliografia dei lavori scientifici di Francesco Minà Palumbo.
Leggendo del “tavolo di lavoro con le lettere scritte ai maggiori naturalisti del tempo” si pensa subito a un immane lavoro di ricerca che ha consentito di ritrovare le missive spedite a Forsyth Major, a Strobl, a Sahut, a Gemmellaro, a Berlese e così via discorrendo. E invece, da un rapido sopralluogo, si scopre che le lettere di cui Lei parla nel post e che, “ricopiate (non proprio) con la sua calligrafia (di Minà)”, farebbero bella mostra sul tavolo di lavoro del nostro naturalista assommano, in definitiva, ad una unità: guarda caso proprio quella pubblicata nel mio libro, cioè quella più immediatamente prelevabile, in quanto le altre sono ben custodite in collezioni private. Volendo essere più precisi, sul tavolo, assieme alla riproduzione della suddetta lettera e ad altri fogli bianchi “invecchiati”, si trova anche la riproduzione di una delle sette tavole geologiche prodotte da Minà nel 1867 per il Regio Comitato Geologico Italiano, di cui si ignorava l’esistenza, anch’esse da me rintracciate nel 2012 e pubblicate nello stesso libro.
Sul tavolo del ricostruito studio di Minà, a meno che non si debba pensare a una traslazione avvenuta successivamente alla pubblicazione del post, non v’è altro. Quale che sia stata la fine delle altre n – 2 lettere, in atto risultano esposti soltanto questi due documenti e di questi, perciò, parliamo. Essi, è fuori discussione, non sono di mia proprietà ma, dal momento che di entrambi non mi pare si avesse alcuna notizia prima della pubblicazione della Bibliografia dei lavori scientifici di Francesco Minà Palumbo, sarebbe apparso quanto meno doveroso da parte Sua, che ha curato la ricostruzione dell’ambiente, fare riferimento al fatto che essi sono tratti da un’opera a stampa e non sono, come invece appare, di provenienza indefinita o di proprietà del Museo. Per fugare ogni dubbio, gentile dottor Leone, io non sono per niente disturbato dal fatto che questi documenti siano stati esposti al pubblico perché se così fosse, dopo averli ritrovati, li avrei tenuti ben conservati. Invece li ho pubblicati. Così come pubblicherò nel sito www.francescominapalumbo.it tutti i documenti relativi all’opera di Minà in mio possesso, una minima parte dei quali è già in rete.
Vede, dottor Leone, nei miei libri e nei libri di tutti coloro che ritengono che “non esiste libro che sia prodotto unicamente dagli autori” si fa puntale riferimento agli informatori, a chi mette a disposizione documenti – anche uno solo – si citano le fonti con dovizia di particolari e se un passo è estratto dal lavoro di altri viene riportata la provenienza, se non altro per una forma di rispetto – prima ancora che di scientificità – nei confronti di chi quel lavoro ha prodotto.
Prima di mettere on line il sito www.francescominapalumbo.it, dove è riprodotta qualche tavola dell’Iconografia della Storia Naturale delle Madonie, mi è sembrato – prima ancora che doveroso – eticamente corretto informare e, nello stesso tempo, chiedere il permesso all’Editore Sellerio e alla famiglia Morici, proprietaria dell’Opera. E quei disegni sono stati pubblicati sul sito solo dopo avere avuto parere favorevole da entrambi. Da parte Sua avrei gradito non un po’ di bioetica, ma di etica certamente sì. Se non altro perché senza i soldi e senza il tempo, oltre che la passione, che chi scrive devolve a questo tipo di ricerca Lei non avrebbe mai avuto né notizia né la disponibilità di quei documenti.
Con la presente non Le chiedo di togliere i documenti da dove li ha voluti graziosamente collocare né, tantomeno, di apporre targhettine recanti crediti dei quali, francamente, non saprei cosa farmene dal momento che i meriti di ciascuno di noi non si misurano con simboli di vuota notorietà istantanea ma col metro inesorabile del tempo. Più semplicemente, invece, vorrei ristabilire un minimo di verità e manifestare il mio disappunto per la inaccettabile nonchalance con cui, da più parti, in questo paese – è successo più di una volta – ci si appropria delle ricerche fatte da altri. Lo ritengo legittimo specialmente in questo particolare periodo dell’anno in cui tutti, sinceramente e senza ipocrisie, avvertiamo un maggiore senso di rispetto verso noi stessi e verso il prossimo.
Buona Natività
Massimo Genchi
Preg.mo prof. Genchi
La ringrazio dell’attenzione con cui segue, anche con spirito critico, le iniziative culturali che da vari anni cerco di portare avanti a Castelbuono e mi dispiace sinceramente di quanto lamenta.
1) Ovviamente non era assolutamente mia intenzione “appropriarmi” indebitamente di ricerche altrui. Sa bene come nel mio libro su Castelbuono io abbia sempre citato scrupolosamente e minuziosamente tutte le fonti, anche quelle solo orali e come abbia ringraziato più di una cinquantina di persone riportando per ognuna di esse lo specifico contributo fornitomi. Come lei riporta si trattava solo di un post su un gruppo di Facebook in cui davo notizia di questa ricostruzione. Dato il “genere letterario” della comunicazione non prevedevo alcuna citazione così come non ho citato la fonte da cui ho tratto la ricostruzione, cioè una testimonianza pubblicata da Giuseppe De Luca (Francesco Minà Palumbo: una vita tra umanità e scienza, “Le Madonie”, 15 gennaio 1991, p.3), alcune foto delle librerie, l’iconografia pubblicata dai proff. Mazzola e Raimondo.
2) Tuttavia, era già previsto, ed è stato riportato sugli articoli comparsi, un più ampio ed esau-stivo banner in cui riporto integralmente il brano di De Luca, un’attenta didascalia degli og-getti e, naturalmente, le fonti sulle quali mi sono basato compresa la sua. Per cui il suo commento diciamo che arrivato un po’ in anticipo rispetto a quello che avrei fatto e che pre-sto potrà vedere al Museo.
3) Quanto all’enfasi sulle “lettere” in realtà la ricostruzione (che è stata sempre dichiarata tale senza alcun materiale originale, tranne un paio di diplomi) voleva dare un’idea di quell’intensa attività epistolare riproponendo una delle poche lettere rimaste, un disegno, un mucchietto di carte e altro che si intravede in un cassetto semichiuso della scrivania. Se que-sto, a suo giudizio, può risultare equivoco provvederò a modificare la dicitura nel banner di cui le ho parlato in modo da renderlo più esplicito.
4) In ogni caso queste osservazioni critiche le ritengo assolutamente costruttive per migliorare una proposta di fruizione di quanto fatto dallo scienziato, al pari di quanto lei sta facendo col sito (il cui link ho riportato nella bozza di depliant museale attualmente in via di realizzazio-ne).
5) Quanto alla nonchalance di chi si appropria di ricerche altrui sono stato anch’io vittima di tutto questo, persino su autorevoli riviste con gli estremi di un vero e proprio plagio. Ma è più che evidente che posso rispondere solo delle mie azioni, non di quelle degli altri.
Continuando a seguire con immutata attenzione e interesse le sue ricerche ricambio gli auguri per queste festività natalizie
Salvino Leone
Cosa direbbe lo scienziato F.M.P. come reagirebbe mio nonno Michele (erede unico di F.M.P.) se fossero ancora in vita?
Certamente si complimenterebbero non solo coi professori di botanica che in anni passati hanno condotto tante analisi di fondo sugli scritti e sulle opere di F.M.P., ma anche col prof. Salvino Leone che oggi ha saputo ricostruire lo studio di F.M.P., e infine farebbero un plauso al prof. Massimo Genchi per la sua rigorosa indagine filologica riportata nel recente volume “Bibliografia dei lavori di Francesco Minà Palumbo”: insomma a tutti costoro che hanno speso tempo prezioso per rivalutare la figura di F.M.P. va (o dovrebbe andare) la gratitudine dei castelbuonesi di tutti i tempi.
In passato si è messa in particolare evidenza la personalità del “naturalista” F.M.P., giustamente e con grande dovizia di saggi specialistici, cosicchè è stata promossa e propagandata questa sua immagine, tant’è che l’aggettivo “naturalistico” è stato scolpito nella targa di ingresso del museo a lui dedicato.
Malgrado certi meriti, si è tuttavia creato il mito F.M.P. con attributi molto limitanti, non tenendo conto della complessità della sua figura: un uomo dai tantissimi interessi scientifici, un ricercatore dalle attitudini multidisciplinari, un cittadino vicino alla vita del paese. Chi negli anni ha operato quest’azione di sottovalutazione, ha fatto un affronto ai siciliani e alla loro storia.
Certo, si sono scritti fiumi di parole sull’iconografia di F.M.P., ma sempre con visione parziale e specialistica sulla descrizione del singolo arbusto o del singolo volatile, e mai si è pensato di far intervenire qualche critico d’arte sulla qualità, sulla bellezza pittorica di quelle 600 tavole.
Infatti il loro valore è tale che va indiscutibilmente ad inserirsi nella storia dell’arte siciliana.
Poi, nel 2012 il prof. Massimo Genchi va a ripescare ulteriori 700 lavori scientifici di F.M. P., dei quali si era perduta traccia, e veniamo a sapere che lo scienziato era anche esperto di scienze della terra, era stato acuto biologo, disegnava mappe geologiche per lo stratega De Pretis, ecc.
Ma F.M.P. era anche medico: cosa e come esercitava quella professione? Lo faceva con la giusta umanità e con senso di solidarietà?
Quante tesi di laurea si potrebbero sviluppare alla ricerca psicologica di una persona così completa?
Troppe porte sono rimaste chiuse (o si sono aperte per l’interesse di un momento) in luoghi ove risiede il ricco patrimonio documentale.
Esiste un archivio dettagliato dei reperti di quel Museo, dedicato ad una persona così illustre del paese?
Quando il Museo diventerà un “open space”? …per il significato della parola si rimanda ai trattati di museotecnica.
E infine a chi andrebbero rivolte queste domande?
Beh, se F.M.P. e se il Museo sono “beni comuni”, il soggetto responsabile in primis non può che essere …il Comune.
Ai milanesi non basta avere analisi approfondite sui Promessi Sposi o sulle lectio in Duomo, ma occorre sapere soprattutto chi era “l’uomo” Alessandro Manzoni o “l’uomo” Carlo M. Martini: lì è il Comune che promuove e svolge questa continua azione di conoscenza dei suoi figli illustri a beneficio della società.