Non è una campagna elettorale normale. E’ Elettrochoc

Non è una campagna elettorale normale. C’è la Guardia di Finanza in queste ore a Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea regionale, l’organo che deve essere rinnovato il 28 ottobre. Deve guardare fra le carte per sapere come sono stati spesi i soldi dei contribuenti assegnati ai Gruppi parlamentari.

 

C’è il processo davanti al Gup a Catania in questi giorni, con le sue udienze, a carico del Presidente della Regione, che lascerà la carica alla fine del mese, quando i siciliani sceglieranno il suo successore.

 

Ci sono esposti alle Procure della Repubblica di Palermo, Catania ed Agrigento presentati da un assessore regionale, Marco Venturi, che accusa il capo del suo governo a poche ore dalla fine del mandato, di avere favorito personaggi in odor di mafia.

 

Ci sono candidati Presidente che, attraverso video rubati, fanno sapere di essere stati oggetto di inquietanti sollecitazioni a casa loro al fine di perorare un affare da quattro miliardi e mezzo, che da tre anni avvelena i rapporti fra i partiti, i gruppi parlamentari e l’informazione siciliani.

 

Ci sono candidati alla Presidenza della Regione che lanciano accuse verso i loro concorrenti di essere coinvolti  in affari opachi ed altri che querelano.

 

Alle amministrative di pochi mesi or sono, nella piazza politica più importante della Sicilia, le primarie del partito Democratico si trasformarono in un processo a cielo aperto con le denunce di inquinamento del voto da parte di un candidato e di uno schieramento che li avrebbe sconfessate per scendere in campo e vincere a piene mani, legittimamente, le elezioni.

 

Ma è niente rispetto a quel che sta accadendo in questi giorni. Con il Parlamento regionale oggetto di indagine conoscitiva da parte della Procura della Repubblica, e il Presidente della Regione, sul banco degli imputati in una udienza del Giudice per l’udienza preliminare, chiamato a decidere sul suo rinvio a giudizio per voto di scambio e  concorso in associazione mafiosa.

 

 In quale parte del mondo alla vigilia delle urne l’elettorato viene sottoposto a tensioni così violente? Nei regimi dispotici le elezioni-farsa si svolgono serenamente perché i problemi con i nemici vengono risolti per tempo; nei sistemi democratici le campagne elettorali sono tutelate da un costume di tradizionale rispetto delle istituzioni, della democrazia, della partecipazione. Tutto ciò che disorienta l’elettorato viene “punito” dall’opinione pubblica.

 

In Sicilia, più che nel resto d’Italia, ogni campagna elettorale ha una storia “giudiziaria” oltre che politica, fatta di episodi che mettono inevitabilmente in secondo piano elementi utili per un giudizio consapevole sull’operato dei governanti a causa del loro impatto “emotivo”.

 

Eppure, non c’è bisogno di usare le maniere forti per persuadere i siciliani che è bene cambiare suonata e suonatori.

 

In contesto denso di tensioni, lo spazio per un confronto sulle cose che contano, sul da farsi e subito, si restringe tremendamente.

 

Le responsabilità dello sfascio – politico, morale, economico – sono ampie e diffuse e chiamano in causa in primo luogo la classe dirigente (parlamentari e dirigenti di partito, amministratori pubblici, imprenditori, banchieri, manager, servitori dello Stato), poi tutti gli altri. Come cittadini, lavoratori, elettori.

 

Sapranno i siciliani liberarsi di lacci e lacciuoli e regalare a se stessi, finalmente, un voto consapevole che premi chi, a loro avviso, merita di rappresentare la Regione?

(siciliainformazioni.com)

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