Parco delle Madonie. Respinto il ricorso di un imprenditore castelbuonese

Parco delle Madonie. Respinto il ricorso di un imprenditore castelbuonese

Aveva vietato un allevamento di struzzi. Non dovrà rispondere per la diminuzione di reddito reclamata dall’azienda, condannata al pagamento delle spese legali

Il Tar di Palermo ha emanato lo scorso 24 giugno una sentenza destinata che determina una importante svolta per gli enti gestori delle aree protette. Confermando infatti un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidatosi negli ultimi anni, la seconda sezione del Tribunale Amministrativo di Palermo, ha in sostanza ribadito che non può essere imputato all’Ente gestore dell’area protetta il dovere di indennizzo per diminuzione o cessazione del reddito agro silvo pastorale.
“Questa sentenza – afferma il presidente del Parco delle Madonie Angelo Pizzuto – conferma che quando i vincoli e le limitazioni imposte alle attività economiche ricadenti in aree protette vengono assunte in conformità alle disposizioni di legge e nel corretto esercizio del potere di indirizzo e autorizzatorio che compete all’Ente, nessun indennizzo è dovuto, poiché la decisione è assunta nel rispetto alle primarie esigenze ambientali che stanno alla base dell’esistenza delle aree protette”.
La vicenda giudiziaria nasce dal ricorso di un imprenditore agricolo di Castelbuono per il riconoscimento dell’indennizzo (cui all’art. 21 della legge regionale 98/1981) dovuto alla diminuzione del reddito agro silvo pastorale causata, secondo il ricorrente, del diniego ricevuto dall’Ente Parco di realizzare un allevamento di struzzi in un terreno privato sito in area di Parco.
In seguito all’udienza celebratasi il 24 luglio 2014 il Collegio giudicante dispone che il ricorso è infondato e va pertanto respinto. A sostegno della decisione assunta il TAR fa riferimento al comma 1 dell’art. 17 della richiamata l.r. 98 del 1981, il quale dispone che “nei parchi regionale e nelle riserve sono vietate le attività che possono compromettere la protezione del paesaggio, degli ambienti naturali, della vegetazione, con particolare riguardo alla flora e alla fauna”.
La norma invocata dal ricorrente, che contesta il mancato riconoscimento dell’indennizzo era contenuta invece nel comma 14 dell’art. 21 della medesima l.r. “Quando il perseguimento delle finalità istituzionali del parco o della riserva si verificano riduzioni dei redditi agro silvo pastorali, l’ente parco o l’ente gestore della riserva provvederanno al conseguente indennizzo”.
A fare da contraltare a questa disposizione normativa la decisiva pronuncia della Corte di Cassazione (sez. I – sentenza 10210 del 4 maggio 2009) la quale precisa che “nel caso in cui un terreno privato sia incluso nell’are di protezione di una riserva naturale, si è in presenza un vincolo ambientale, imposto per legge ed avente carattere ricognitivo e confermativo delle caratteristiche paesaggistiche e ambientali già possedute dal bene … di guisa che l’Ente, nell’esercizio della propria discrezionalità tecnica, è tenuto a valutare la compatibilità o meno rispetto alle primarie esigenze ambientali dell’attività silvo pastorali esercitabili”.
“Di particolare importanza – fa notare il presidente Angelo Pizzuto – lo specifico riferimento del giudice alle eccezioni sollevate dalla difesa dell’Ente Parco che faceva notare come, in caso di accoglimento dell’istanza, ogni richiesta di introduzione all’interno dell’area protetta di nuove specie vietate o nuove coltivazioni non compatibili con l’equilibrio ambientale del parco, diverrebbe indennizzabile. Una situazione paradossale – conclude Pizzuto – che avrebbe compromesso e contraddetto le ragioni di esistenza di una qualsiasi area protetta”.
Rigettato il ricorso, in quanto infondato, il tribunale amministrativo ha anche condannato il ricorrente al pagamento delle spese legali in favore dell’Ente Parco, liquidate in complessivi 1.500 euro.

(Fonte: http://www.madoniepress.it/)

 

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