Querelle Palazzo Turrisi Colonna, interviene il dott. Angelo Scordo “evidenti e forti elementi di dubbio sull’autenticità del blasone”
Riceviamo e Pubblichiamo di seguito una dissertazione a cura del Dott. Angelo Scordo, membro della Società Italiana di Studi Araldici, avente come tema il blasone della famiglia Turrisi Colonna. L’acceso dibattito su CastelbuonoLive è scaturito in seguito all’esplicito invito del Prof. Orazio Cancila all’Amministrazione comunale a volere correggere il marchiano errore dovuto alla denominazione di Palazzo Turrisi Colonna
di Angelo Scordo
Le considerazioni che seguono prendono le mosse da un recentissimo pezzo, fortuitamente incontrato sul web (www.castelbuonolive.com, 19.03.2014), dal titolo: Il blasone della famiglia Turrisi Colonna. La foto scattata prima del restauro del palazzo. Di fotografie, invero, se ne vedono due: la prima riproduce il “blasone” ed è quella che ha destato in me un perplesso interesse, accentuato dalla lettura del testo di accompagnamento; la seconda, invece, raffigura il palazzo gentilizio barocco, ospitante (dove e come, non è scritto) il singolare reperto.
Va chiarito, in via preliminare, che una famiglia dal cognome composto TURRISI COLONNA non è reperibile in alcun repertorio gentilizio di carattere ufficiale[1], né in studi araldico-genealogici, pubblicati tanto su opere a carattere enciclopedico, illustranti la nobiltà italiana in genere, oppure meridionale e siciliana in particolare[2], quanto su qualificate pubblicazioni periodiche (annuari e riviste del settore, di tradizione secolare e di comprovata attendibiltà[3]), Nella bibliografia predetta si incontrano esclusivamente i TURRISI e i TURRISI GRIFEO.
I Turrisi, del tutto indipendentemente dal secondo cognome materno, risultano avere portato in via esclusiva l’arma seguente, ancor oggi spettante ai Turrisi di Gorgo e Buonvicino e ai Turrisi di San Giorgio d’Ogliastro e Palminteri: D’azzurro, alla torre quadra d’oro, di due palchi, fondata sopra un ristretto di terreno, al naturale, sostenuta da due leoni d’oro, linguati d’oro, affrontati e contro rampanti, accompagnati in capo da tre stelle d’argento (di sei raggi), male ordinate.
I Turrisi Grifeo – il cui capostipite Antonio Turrisi, secondogenito di Mauro, nel 1852 aveva sposato Stefania Grifeo e Statella, erede della titolatura dei Grifeo, dei Migliaccio e dei Gravina – con RR. LL. PP. 16 novembre 1902 ottennero il Regio Assenso per l’assunzione di tutta la cospicua titolatura[4], assieme al riconoscimento del doppio cognome Turrisi Grifeo e la concessione di partire il proprio scudo con quello dei Grifeo, la cui arma era: Troncato: nel 1°, d’oro, al grifone di nero, passante; nel 2°, d’oro, a tre bande d’azzurro. Di conseguenza si ottiene un: Partito: I, d’azzurro, alla torre quadra d’oro, di due palchi, fondata sopra un ristretto di terreno, al naturale, sostenuta da due leoni d’oro, linguati d’oro, affrontati e contro rampanti, accompagnati in capo da tre stelle d’argento (di sei raggi), male ordinate (TURRISI); II, troncato: nel 1°, d’oro, al grifone di nero, passante; nel 2°, d’oro, a tre bande d’azzurro (GRIFEO). Tale stemma è ancora in uso da parte degli attuali rappresentanti della famiglia.
La fotografia de Il blasone della famiglia Turrisi Colonna pubblicata sul sito www.castelbuonolive.com, che appresso riporto, è corredata da una sorta di commento, che tra l’altro recita: Era stato coperto da una pittura grigia e spessa probabilmente dai Cardella, ultimi proprietari prima dei Marzullo. Il blasone sta a significare l’unione in matrimonio del Barone Mauro Turrisi e di Donna Rosalia Colonna Romano, genitori di Annetta, Giuseppina, Nicolò, Antonio e Giuseppe Turrisi Colonna. Il cavaliere centrale raffigura il Gran Conte Ruggero, alla sua destra il nipote Giovanni 1° Grifeo, alla sua sinistra il temutissimo condottiero saraceno Mogat sconfitto in battaglia. Lo scudo centrale raffigura una torre ed una colonna con un leone coronato, che, con le zampe anteriori tiene la torre e la colonna unite.
Malgrado la scadente qualità dell’immagine, ictu oculi si rileva uno scudo, di una foggia ‘sagomata’ tanto strana da farlo apparire impressionantemente simile a una coppa-trofeo, grazie a alle due ‘anse’ e a una sorta di ‘base’ applicategli. Al suo interno si intravede quanto è, grosso modo, descritto nella citata didascalia. Da segnalare, però, che il ristretto di terreno è stato sostituito da una campagna, che peraltro appare leggermente inclinata verso sinistra (è appena il caso di rammentare che in araldica la visione è speculare, come se chi descrive, cioé blasona, si trovasse dietro lo scudo e, pertanto, la sinistra non è altro che la destra di chi guardi). La torre non è affatto quadra e i palchi (i piani, in linguaggio corrente) sono quattro e non due. Si vede una stella e se ne intravede un’altra, sforzando la vista, ma entrambe posizionate senza logica alcuna, meno che meno corrispondente a quella dell’arma Turrisi, che vuole le tre stelle (di sei raggi, peraltro) male ordinate, e cioè allineate in triangolo equilatero, con il vertice in alto. Abbiamo letto che il c.d. blasone starebbe a significare l’unione in matrimonio del Barone Mauro Turrisi e di Donna Rosalia Colonna Romano. Interverrebbe, quindi, una commistione simbolica, ponente assieme elementi delle armi Turrisi e Colonna Romano: il risultato è uno scudo assolutamente araldico, che racchiude, in ordine sparso, contenuti in nulla conformi alle regole dell’araldica, troppo spesso matrattata disciplina ausiliaria della storia. Ove, ricorrendo alle sue norme e prassi, si fosse voluto memorare le predette nozze, la strada sarebbe stata una sola, assai semplice: riunire in un solo scudo le armi dei Turrisi e dei Colonna Romano. Si sarebbe comunque trattato di un estemporaneo e non ufficiale insegna, includente due armi gentilizie, a differenza di quanto avverrà più tardi per i Turrisi Grifeo, questa volta in via definitiva e legale. Ma, accantonati l’essere e il dover essere dello scudo, dedichiamoci adesso ai suoi ornamenti esteriori. E’ accollato a un trofeo di bandiere, trombe, cannoni e armi bianche e da fuoco, timbrato (non da tre elmi), ma da tre busti di guerrieri, loricati e galeati, quello mediano in maestà e i due laterali addossati, il primo impugnante con la mano sinistra una spada, posta in banda, e l’altro, sempre con la sinistra, una scimitarra, posta in sbarra. Omettiamo e ammettiamo che si tratti dei tre personaggi appartenenti alla tradizione genealogica di casa Grifeo, che però con i Turrisi Colonna si imparentò in tempi successivi e la cui presenza perciò non si giustifica affatto nell’asserito ‘blasone’ dei Turrisi Colonna. Soffermiamoci su alcune altre stranezze: i due armati ai lati appaiono entrambi, in tutta evidenza, mancini. Tanto induce a ritenere che – forse a causa di una svista di chi non so – l’immagine sia stata invertita. Apriamo allora Photoshop e, con un semplice clic, ripristiniamo la più che probabile verità.
a) Quel che si vede b) Sua successiva inversione
Ma vi sono altri due particolari, che val la pena porre sotto la lente: la corona e il piumaggio dell’elmo del Gran Conte Ruggero d’Altavilla. Osserviamone l’ingrandimento:
La corona mostra sette fioroni visibili. Dal Rinascimento al Barocco, in assenza di una regolamentazione precisa e legalizzata, un simile segno di dignità nobiliare poteva adornare l’arma di un marchese, di un duca o di un principe: non certo quella di un semplice barone di fresca nobiltà. Al suo interno, il cerchio prosegue e non c’interessa affatto che non vi sia traccia dei residui fioroni (capitava il più delle volte), quanto, piuttosto, che la sua zona centrale sia interrotta da sette vistosi e rigonfi elementi lunati, il centrale dei quali sembra fondersi col cimiero piumato del Gran Conte. Cosa sono? La risposta è abbastanza agevole: nient’altro che la parte terminale superiore di uno scudo a cartoccio, che sovente veniva rappresentata come attraversante la corona. Quale esempio, tra tanti, porgo il particolare di un’arma secentesca e l’abbino alla ricostruzione grafica di quanto avrebbe dovuto inserirsi nella ‘nostra’ corona. Essa, peraltro di elegante fattura, appare provenire da diverso contesto, per essere, poi, maldestramente ‘incollata’ al di sopra della triade guerriera.
Ancora una perplessità: se l’interno dello scudo appariva ricoperto da uno strato di pittura grigio e spesso, come mai è stato possibile rimuoverlo senza minimamente intaccare i suoi ‘contorni’, peraltro bordati? In chiusura, non può non rimanersi interdetti di fronte alla seconda parte del titolo: La foto scattata prima del restauro del palazzo. Se si trattasse dell’edificio, nulla quaestio, ma, così com’è, può ingenerare il dubbio legittimo che il riferimento sia al ‘blasone’, nel qual caso saremmo di fronte a una palese contraddizione in termini, perché dovremmo vederlo ricoperto di strati e strati di vernice. E non mi dispiacerebbe ammirare l’originale.
Da tutto quanto precede, le conclusioni, cui giunge la comunicazione apparsa su castelbuonolive, cioè; Il tutto sta a significare che il palazzo fù abitato dal Barone Mauro Turrisi e dalla moglie Donna Rosalia Colonna Romano, malgrado il rafforzativo accento posto sulla terza persona singolare del passato remoto del verbo essere, non appaiono suffragate da elementi probatori e ingenerano, al contrario, evidenti e forti elementi di dubbio sull’autenticità del reperto.
Angelo Scordo, S.I.S.A.
(Società Italiana di Studi Araldici)
[1]“Elenco Ufficiale (definitivo) delle famiglie nobili e titolate della Sicilia”, in Bollettino Ufficiale della Consulta Araldica, volume V, N° 25, Roma, dicembre 1902, p. 678; “Indici alfabetici dei predicati nobiliari e delle famiglie con titolo sul cognome della regione Siciliana”, in Bollettino Ufficiale della Consulta Araldica, volume VI, N° 28, Roma, dicembre 1903; (CONSULTA ARALDICA) Elenco ufficiale nobiliare italiano, Torino, 1922, p. 950; PRESIDENZA del CONSIGLIO dei MINISTRI – CONSULTA ARALDICA del REGNO, Elenco Ufficiale della nobiltà italiana, Roma, 1933, pp. 869-870; SOVRANO MILITARE ORDINE di MALTA, Elenco storico della Nobiltà Italiana, Roma, 1960, p. 528.
[2] V. SPRETI e collaboratori, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, voll. 8, Milano, 1928-35; S. MANNUCCI, Nobiliario e Blasonario del Regno d’Italia, voll. 5, Roma, 1929-34; A. M. G. SCORZA, Enciclopedia araldica italiana, tomi 27, Chiavari, 1973,; B. CANDIDA GONZAGA, Memorie delle famiglie nobili delle provincie meridionali d’Italia, voll. 6, Napoli, 1875-83; G. B. di CROLLALANZA, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane, estinte e fiorenti, Pisa, 1886-90; V. PALIZZOLO GRAVINA, Il blasone in Sicilia …, Palermo, 1871-75; E. TERMINE LANZA, Storia e blasoni della Sicilia, Palermo, 1911-15; A. MANGO di CASALGERARDO, Il nobiliario di Sicilia, voll. 2, Palermo, 1912-15; F. PALAZZOLO DRAGO, Famiglie nobili siciliane, Palermo, 1927; F. SAN MARTINO de SPUCCHES (e successori), La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origine ai nostri giorni, voll. 10, Palermo, 1924-41; C. ARNONE, I titoli nobiliari siciliani ed i loro trapassi nei secoli, Roma, 1940 [vale per tutte le opere il richiamo: ad vocem].
[3] Annuario della Nobiltà Italiana, Pisa e poi Bari, 1879-1905, ad vocem; Libro d’Oro della Nobiltà Italiana, Roma, 1910-2014, ad vocem; Giornale araldico-genealogico-diplomatico, Fermo, Pisa e Bari, 1873-1905; Rivista del Collegio Araldico (Rivista Araldica), Roma. 1903-2010: Su quest’ultimo periodico, dal 1934 al 1941, Francesco PATERNO’ CASTELLO, duca di Carcaci, pubblicò il Corpus historiae genealogicae Siciliae, e tratta dei Turrisi nell’annata 1938, pp. 419-420.
[4] Principati: Partanna, Palagonia, Lercara; Ducee: Ciminna, Floridia, Alcara; Marchesati: Francofonte, Antella, Bifora, Delia; Baronie: Calatabiano, San Fratello, Fiumefreddo, San Basile, Laura, Stellaini; Signorie: Caldera e Micilini.
Egregio prof. Angelo Scordo,
mi presento dicendo che assolutamente non sono uno studioso di araldica, ma avendo avuto a che fare da vicino con i lavori di restauro dello stemma araldico in questione e visto i dubbi che lei ma anche io ho sulla questione, vorrei porle all’attenzione alcuni particolari che ha tralasciato. Non vorrei essere presuntuoso ma visto che lei mette in dubbio la veridicità dello stemma è giusto che venga analizzato nei minimi particolari.
Sicuramente già lei lo saprà, il palazzo in questione conserva caratteristiche costruttive tipiche del barocco (non voglio dire che la sua erezione risale al seicento), ma lo stemma è stato apposto nell’ottocento. L’assicuro che quello che vede è quello che realmente c’è all’interno del palazzo. Merito va ai restauratori che, a lei sembrerà strano ma, sono riusciti a tirare fuori tutto lo stemma, non soltanto lo scudo, senza comprometterne l’integrità (c’è un’ampia documentazione fotografica che lo testimonia).
Fatte le dovute ma necessarie premesse entrerei un po’ più a fondo nell’argomento. Giustamente di fronte ad un’eccezionale ritrovamento come quello in questione, al momento unico, capisco le perplessità che possono nascere, ma stabilito che tutto quello che vede è reale, c’è, è inconfutabile, lascerei perdere photosc. e possibili manipolazioni per capire cosa effettivamente rappresenti questo stemma. Non entro in merito ai dubbi sulla corona da lei esposti, non sono uno studioso di araldica ripeto, questo sta a lei chiarirci le idee. Volevo però soffermarmi su alcuni punti che lei non tratta:
1) Il ristretto di terreno che lei cita, non è stato sostituito con una campagna, ma dovrebbero essere delle onde, presenti nello stemma dei Colonna di Sicilia.(1)
2) Osservando attentamente i tre cavalieri, si può notare che quello centrale e quello che tiene una spada hanno un pettorale a squame (non so se tecnicamente si dice così), mentre l’altro presenta un pettorale liscio.
3) Più che ruotare l’immagine con phot., ci si accorge vedendola così com’è che il braccio destro del cavaliere che tiene la scimitarra si tronca all’altezza del gomito. La mano, che probabilmente doveva attaccarsi al braccio destro, ma che come detto questo si tronca essendo privo dell’avambraccio, pare uscire dal centro della corazza e funge da mano sinistra. Quesito, anziché pensare subito che sia un falso o ridipinto, non potrebbe essere un ripensamento dell’autore, all’ultimo minuto? Accorgendosi che facendo impugnare al cavaliere la scimitarra con la mano destra, la punta di questa si sarebbe sovrapposta all’elmo dello stesso. No lei subito pensa ad una svista di chi sa chi.
4) Lei non ha notato che sotto la figura del cavaliere che tiene la spada vi sia un ramoscello di alloro, simbolo di vittoria, mentre sotto il cavaliere “saraceno” si può vedere una palma, simbolo di martirio. Tutto ciò non potrebbe significare che:
La figura centrale sia il Gran conte Ruggero. Alla sua destra avendo la stessa armatura vi sia un cavaliere normanno, mentre alla sinistra un saraceno, avendo la scimitarra. Infine l’alloro e la palma non potrebbero rappresentare la vittoria dei normanni sui saraceni, che sconfitti nella loro guerra santa sono allo stesso tempo dei martiri?
Da uno studioso mi aspetto questo tipo di osservazioni, non delle speculazioni, atte soltanto ad alimentare dubbi inesistenti.
Dal suo articolo non si evince una sincero studio sullo stemma, ma una certa volontà di delegittimarlo.
5) Non prende minimamente in considerazione il colore dello stemma. Perché è composto del bicolore bianco-rosso. Non ci potrebbe essere qualche rimando ai Ventimiglia, che a sua volta vantano parentela con gli Altavilla?
Da lei attendo questo tipo di chiarimenti. Con tutto rispetto e mi scuso a volte per i toni, ma da lei che è uno studioso di araldica vorrei sapere cosa ne pensa.
Cordiali saluti.
Ho dimenticato la nota.
(1) Famiglie nobili di Sicilia. Famiglia Colonna di Sicilia
Salve, sono Giuseppe Grifeo di Partanna, giornalista, appartenente alla storica Famiglia che per circa 900 anni ebbe Partanna come suo Feudo centrale, creatore/titolare del sito http://www.grifeo.it
Per pura casualità, mi sono accorto solo oggi di questo articolo.
Nello scritto del professore Scordo leggo che in un precedente servizio di castelbuonolive.com si descrivevano le tre figure sullo stemma con “Il cavaliere centrale raffigura il Gran Conte Ruggero, alla sua destra il nipote Giovanni 1° Grifeo, alla sua sinistra il temutissimo condottiero saraceno Mogat sconfitto in battaglia”.
La domanda sorge spontanea: cosa c’entrano i tre illustri personaggi che caratterizzano l’inizio in Sicilia della Famiglia Grifeo nell’XI secolo con il retaggio Turrisi? O Turrisi Colonna…
I tre personaggi compaiono nell’affresco delle origini a Castello Grifeo in quel di Partanna e, in gruppo scutoreo (stessa scena) sul frontale della Cattedrale di Mazara del Vallo voluta dal Vescovo Francesco Maria Grifeo, ispiratore e propulsore a fine XVII secolo della ristrutturazione in chiave barocca della stessa Basilica.
Anche se lo stemma affrescato di Palazzo Turrisi fosse corretto o creato nel 1800, la domanda rimane comunque. Mi sembra un collegamento storico ardito o meglio, del tutto impossibile, quello fatto con Giovanni I Grifeo, il Gran Conte Ruggero e il condottiero musulmano Mogat… con i Turrisi… Colonna.
Più verosimilmente è un vezzo artistico che ha voluto collovare tre armature, del resto si sposano bene con il trionfo di armi che contornano lo stemma: non è così inusuale abbondare con decorazioni armate in questa tipologia di “abbellimento”, anche se tre elmi o tre busti in armatura con elmi li ricordo solo in rappresentazioni araldiche germaniche.
In merito alla rappresentazione dello scudo, nel caso dovesse essere unione delle Armi Turrisi e Colonna-Romano, lo vedo solo come liberissima e fantasiosa interpretazione del pittore-affrescatore, nulla di male se accettata dai committenti. Ma è del tutto fuori da ogni regola ed evidenza araldico-genealogica.
A parte il fatto che non esiste una famiglia Turrisi Colonna, mai registrata né autorizzata e quindi non ne esiste lo stemma che la rappresenti, ma, nel caso lo fosse stata, avrebbe uno stemma partito come nel caso dell’apparentamento tra Antonio Turrisi e Stefania Grifeo e Statella (il cognome Statella è citato solo perché era di madre Statella, ma non ci fu mai unione dei cognomi Grifeo e Statella né relativo stemma), unione di cognomi stabilita da un dispositivo “savoiardo” del 1902.
Quindi se, nei fatti, ci fosse stata unione tra Turrisi e Colonna-Romano, lo stemma ufficiale avrebbe assunto la fisionomia del più tardivo stemma Turrisi Grifeo, partito, con la partizione sinistra, quella femminile (bisogna pensare come se si imbracciasse lo scudo) dei Colonna e la parte destra maschile dei Turrisi.
Una delle fonti subito visibili è il Nobiliario di Sicilia dottor Antonino Mango di Casalgerardo (1912) digitalizzato e online dal sito della Biblioteca centrale della Regione Siciliana http://www.bibliotecacentraleregionesiciliana.it/mango/indicemango.htm
Non c’è traccia dei Turrisi Colonna, ma ci sono i Turrisi da una parte e i Colonna-Romano dall’altra, nei loro rispettivi paragrafi completi di stemmi e storie in breve.
L’affresco di Palazzo Turrisi, se intendeva l’unione dei due sposi Turrisi e Colonna, è da intendersi come una scelta in qualche modo artistica senza essere documentazione storica, analitica di una fusione tra famiglie, cosa che mai avvenne.
Ma, oltre al citato Nobiliario, basta sfogliare le più accreditate pubblicazioni a cominciare dall’Annuario della Nobiltà italiana edito da fine 1800, al Libro d’Oro e alle pubblicazioni remote e/o più attuali presenti nelle grandi biblioteche (che dovrebbero avere copie anche delle già citate pubblicazioni).
Non occorre affatto essere uno studioso o un cultore di genealogia o di araldica: serve appurare tramite documenti e pubblicazioni pienamente disponibili e autorevoli. Potrebbe essermi sfuggita una pubblicazione? Tutto è possibile, ma mi piacerebbe conoscerla.
Ma poi, perché il leone dovrebbe significare un legame dei Turrisi con i Grifeo (il cui animale araldico è un Grifone) o con il Gran Conte Ruggero d’Altavilla (famiglia che aveva stemma araldico a tutti noto, privo di leoni: d’azzurro alla banda scaccata di rosso e d’argento)? Forse perché un leone campeggiava nello stemma della Contea di Sicilia?
Non saprei…
Oltretutto, i Turrisi ebbero notorietà recente (1803 il primo Barone di Bonvicino), mentre Grifeo e Altavilla lottarono insieme liberando la Sicilia dal dominio musulmano nell’XI secolo. Quindi quale legame se non ai primi del 1900 con l’unione di un ramo dei Grifeo con i Turrisi?
Nulla posso dire sull’autenticità dell’opera, fattore sul quale non ho alcun motivo di dubitare (e perché mai dovrei?), come non dubito sulle modalità del suo rinvenimento sotto strati di vernice grigiastra. Rappresenta il matrimonio e l’amore tra due augusti personaggi del passato. E questo credo che nessuno possa metterlo in dubbio.
Bell’edificio, ottima struttura, degna testimonianza di un’epoca e perla nel patrimonio architettonico-storico di Castelbuono.
A presto!