Un piatto tipico di Castelbuono: il risotto alla milanese

(Di Massimo Genchi) – Castelbuono, si sa, è ritenuto, soprattutto da coloro i quali non posseggono un grande campo visivo e neppure un modesto senso del reale, il centro del mondo. Questa limitata prospettiva, porta a ritenere che molte cose siano esclusive del nostro paese, che di altre deteniamo la primogenitura, fino a pensare di essere depositari di primati assoluti come quando, con falso senso dell’ironia, ci pavoneggiamo, considerando che paisi com’u nùosci...

Al di là delle sciocchezze relative al fatto che Castelbuono possa essere ritenuto un laboratorio politico work in progress in grado di precorrere i tempi della politica nazionale, volendo limitare queste poche considerazioni alla sola cultura materiale, dirò che non sono in pochi ad essere convinti, ad esempio, che i proverbi dialettali siano peculiari di Castelbuono, per cui, ad esempio, u surcië cci dissi â nuci dammi tìempu ca ti spurtusu già a Isnello o a Geraci, secondo costoro, dovrebbe risultare perfettamente sconosciuto. Lo stesso per le parole del dialetto. Posso certificare che su un corpo di circa quindicimila termini riportati nel Lessico del dialetto di Castelbuono (Genchi e Cannizzaro, 2000), i termini non riscontrati in altri paesi della Sicilia sono dell’ordine di un paio di centinaia.

Passando alla cucina, altro grande pilastro della cultura materiale, c’è da osservare che ovunque le tipicità culinarie quasi mai sono locali ma areali, se non regionali e sarebbe quindi più congruo parlare di tipicità regionali, qual è per esempio la caponata. Ma sicuramente ci sarà qualcuno convintissimo del fatto che essa sia stata elaborata solo a Castelbuono. In Sicilia, e non solo, i piatti tipici di un singolo paese sono abbastanza rari. Fra questi, mi viene in mente u cunigghiu di Polizzi, che però, cosa strana, si prepara senza coniglio. Ciò non deve indurre a mettere a paragone questo particolare piatto della tradizione natalizia polizzana con certi ben noti fest, organizzati pur in assenza dell’ingrediente principale che dovrebbe caratterizzare quella data sagra.

Il ‘piatto tipico’ è da considerare, piuttosto, relativo a un’area, come il cuscus del trapanese, i pizzoccheri della Valtellina o le fregnacce della Sabina.

Leggo in questi giorni che, al pari della testê turcu, anche i pizzichintì e i purpetti d’ova adesso sono sul punto di essere solennemente proclamati, mi pare di capire, così, unilateralmente, piatti tipici di Castelbuono. La cosa, francamente, laddove non fa ridere, lascia seriamente imbarazzati se non altro perché i due piatti e le relative modalità di preparazione, sono assai diffusi in tutta la Sicilia. Ma ciò è assolutamente coerente con tutte le falsità di cui oggi viene ammantata la cultura del cibo, dal cosiddetto bio, al chilometro zero, ai vari premi più o meno significativi e indicativi.

Ma ritorniamo alle tutte castelbuonesi polpette. Se si effettua una veloce passeggiata su internet, entrando in un sito di cucina, scegliamone uno a caso, Giallo Zafferano.it troviamo (qui c’è il link)

POLPETTE DI UOVA della nonna morbidissime e gustose

Sembra di capire che i purpetti d’ova non sono poi così esclusive di Castelbuono neanche nel nome. Com’è naturale, d’altra parte. Chissà perché poi i purpetti d’ova, da un po’ di tempo, sono stati oggetto di ricorrenti attenzioni sempre fuori luogo. Dapprima declassati a piatto di street food, come se fossero quarumi o anche purpu e ora innalzate a piatto tipico di Castelbuono, in predicato di essere De.Co.rato. senza averne titolo.

A fronte della pretesa peculiarità tutta castelbuonese del piatto, dirò che quelle che noi chiamiamo purpetti d’ova risultano essere – intanto – un piatto della cucina di tutti i paesi delle Madonie, nessuno escluso. Si tratta di polpette a base di uova sbattute, pane raffermo ammollato in acqua, formaggio grattugiato, prezzemolo o menta, che si consumano semplicemente fritte, oppure cotte al sugo o (in alcuni centri) in agrodolce, dopo averle fritte.

Dall’allegata carta linguistica, costruita in questi giorni, grazie all’aiuto di molti amici collaboratori che qui ringrazio, si ricava immediatamente sia la variabilità della denominazione sia la totale diffusione del piatto nell’area delle Madonie. Notate che non uso mai il termine ‘territorio’ per una mia forte repulsione verso questo vocabolo, dovuta al fatto che esso, o c’entra o un c’entra, viene usato fino alla nausea da molti politici, vicini e lontani, forse per riempire e imbellettare i loro vuoti discorsi basati sul nulla contenutistico.

Ma il nostro piatto, c’era da aspettarselo, è noto anche fuori dagli stretti confini del nostro comprensorio. Lo ritroviamo, infatti, all’estremo ovest della provincia, in particolare a Partinico, dove le polpette preparate nell’identico modo si chiamano pisci r’ovu, naturalmente a Palermo, anche in quella dei quartieri popolari dei palermitani doc dove sono dette puipetti r’ùova (per pronunciarlo vagamente alla palermitana, contemporaneamente, dovete cercare di fare ruotare la mascella). Spingendoci fuori provincia e muovendoci a macchia di leopardo vediamo che a Caltanissetta sono note come purpetti di pani, a Frazzanò le chiamano froçi e a Modica semplicemente purpetti. Ciò è sufficiente per dimostrare l’universalità del piatto nell’Isola. Quindi tipicità zero.

Non va meglio con i pizzichintì. Decisamente. Innanzitutto, per chi non lo sa, e sono certamente in molti, si tratta di un dolcino a base di succo di fichidindia ristretto, addensato con farina o semola, aromatizzato variamente, tagliato a fette e consumato in inverno dopo averlo essiccato al sole.

Anche qui, con le immense distese di fichidindia che caratterizzano tutta la Sicilia, dal Lilibeo a Capo Passero, secondo voi, secoli e secoli fa, dove potevano essere pensati i dolci fatti col loro succo? Qui, si capisce. Come no! A parte il fatto, e non è neanche secondario sottolinearlo e ricordarlo, che ogni anno lungo le strade di campagna tocca assistere al pietoso spettacolo dei fichidindia lasciati marcire senza raccoglierli. Ma tant’è. Naturalmente sarebbe bello incrementare la produzione riportandoli all’antica notorietà, ma qui si parla di una pretesa etichetta di tipicità che è ancora più fuori luogo dell’altro piatto.

Per rendere conto della grande diffusione del dolce e della variabilità lessicale del nome con cui è noto nei paesi circumvicini inserisco un’altra carta linguistica, stavolta tratta dal Lessico della Cultura alimentare delle Madonie del 2010, opera del compianto fraterno amico Roberto Sottile e mia, modestamente.

La carta, oltre ai dolci a base di fichidindia, comprende tipologie simili, a base di mosto o di vino cotto o di miele. Quelli di fichidindia, contrassegnati col quadratino rosso, come si può vedere sono a dir poco numerosissimi. U pizzichintì si presenta, allora, più che come una tipicità, come un dolce comunissimo, un po’ come i dolci ripieni di Natale o quelli con l’uovo caratteristici di Pasqua. Con queste premesse relative ai paesi del comprensorio, indagare la presenza delle mostarde di fichidindia fuori dalle Madonie o della provincia sarebbe come scoprire che stasera farà buio. Altro che piatto tipico! Con questi criteri di individuazione, anche il risotto alla milanese potrebbe ambire a essere innalzato a piatto tipico di Castelbuono.

Fuori dalle iperboli, per non farci ridere in faccia dalle Alpi alle Piramidi, sarebbe il caso di scendere dal pero e camminare con i piedi ben piantati per terra che forse è meglio. E, come si diceva una volta a Castelbuono (e sicuramente da nessuna altra parte, secondo qualcuno), sarebbe forse il caso di mètticci pani nnâ ucca.

Il modello della Terra al centro del creato, col Sole che le girava attorno, è stato debellato da pochissimi pensatori (minoranze di minoranze) circa cinquecento anni fa. La Terra, come tutti dovrebbero sapere, non occupa nessun posto privilegiato nell’Universo, né all’interno della Galassia, né all’interno del Sistema Solare. E’ un puntino, un atomo opaco (del male) sperduto all’interno dello Spazio infinito. Alla luce (o al buio) di tutto ciò, propalare oggi visionari modelli loco-centrici con l’universo mondo che vi gira attorno e guarda, appare, prima ancora che una baggianata, semplicemente una costruzione infantile.

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