Ypsigrock, esplosione di musica alla conquista della piazza

La piazza è stracolma come dev’essere, fino ai piedi del castello dei Ventimiglia. Ed è così – generosa ed esaltata – che accoglie gli edimburghesi Django Django.

 

Gli ci vogliono un paio di pezzi per carburare a dovere (nel primo, c’è anche qualche accordo fuori chiave), ma non appena il riscaldamento con il pubblico si fa reciproco (e sarà tale da far superare senza troppi problemi anche una impasse tecnica – che li costringe a ricominciare uno stesso brano tre volte – a metà set), letteralmente decolla il loro indie colorato e giocoso (nel solco della lezione Beta Band), fatto di motivetti semplici trainati da chitarre e grasse plasticoselinee di synth, tra postpunk psichedelico, Beach Boys e spezie westernate, tex mex, medi orientaleggianti. L’inciso alla Alì Babà di “Skies Over Cairo” è introdotto così: “Resteremo qui in Sicilia a fare vacanza ancora tre giorni, ma adesso lasciamola per un attimo, giusto il tempo di un volo sui cieli del Cairo”. Su disco (l’esordio omonimo, uscito a inizio anno) ancora non li avevamo sentiti. Decisamente promossi qui a Ypsig.

 

I Primal Scream (anche loro scozzesi, originari di Glasgow) salgono sul palco con in formazione Debbie Googe, la bassista dei My Bloody Valentine, a sostituire Gary “Mani” Mounfield, rientrato negli Stone Roses. Bobby Gillespie, il segaligno cantante e frontman, sembra preso benissimo dal pubblico e dalla piazza, si agita e gira per il palco come non sempre gli capita di fare, inciampa e cade (in un intermezzo della prima canzone), si rialza e come nulla fosse e continua il suo show fatto di movimenti tra il sensuale e il narcolettico, con il microfono al collo a mo’ di sciarpa.
I Primal sono generosi come il pubblico che si trovano davanti e il loro set è esplosivo, senza giramenti di pollici, con tutte le carte di una carriera che è stata uno snodo importante per la musica pop degli anni Novanta bene in mostra sul tavolo, con quel loro citazionismo anche sfacciato ma mai irritante in primissimo piano.

 

La fascinazione per gli arpeggi, gli accordi e le progressioni dei Velvet Underground (Gillespie e il vecchio compagno Jim Beattie avevano cominciato proprio coverizzando e plagiando in chiave noise i pezzi del gruppo di Lou Reed e John Cale), un’impostazione vocale che pesca spezzettature e foga beat generation dal Bob Dylan folk-rock tra metà Sessanta e metà Settanta, il piglio sexy e ferino dei Rolling Stones di “Sympathy for the Devil” e del piano neworleansiano di Nicky Hopkins (“Loaded”, introdotta con una dedica a Pierpaolo Pasolini e cantata con convinzione da tutta la piazza).
Il concerto è il juke box del loro canzoniere hi-energy, con una oculata selezione da “Screamadelica” (una hippiessima ecumenica “Come Together”; esclusa invece dalla scaletta “Higher than the Sun”) e dentro cose come una pestatissima “Swastika Eyes” e una “Country Girl” che prende le sue patemiche stratificazioni synth-chitarristiche da “Heroes” di David Bowie.

 

C’è spazio anche per un paio di inediti. Finiranno sul disco nuovo che – pare – uscirà fra 6-7 mesi. Uno è un brano molto lungo e articolato, con un momento ballad molto bello nella sua classicità. Finale, come da copione, in un baccanale noise di chitarre, e con un loop di sirene, pulsazione di base e voce lasciato andare avanti all’infinito e in parossistica accelerazione, mentre Gillespie regala il suo tamburello a qualcuno che si sbraccia tra le prime file del pubblico.

(Gabriele Marino – lavoceweb.com)
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