A inizio novecento a Castelbuono, fra giochi e trastulli…(seconda parte)

A inizio novecento a Castelbuono, fra giochi e trastulli…(seconda parte)
Giuseppe De Luca
[Pubblicato su Le Madonie, 1-15 gennaio 1989]

[prima parte disponibile a questo link]

E chi può dimenticare i mazzùocculi, u trentu, i stuccati, i fitusi, annettrì? E poi… u pupu ‘i crita (fantoccio di creta), vuoto internamente, fabbricato con l’argilla, in particolari momenti di carestia, allo scopo di fargli divorare, nell’ampia bocca, fave, castagne e mandorle? Questo sistema serviva ai grandicelli smaliziati per sottrarre ai piccoli, ingenui, anche la frutta secca di famiglia (fichi e sorbe asciugate al sole). Vidi comu si l’ammucca? Va’ pigliani ancora!, Va’ pigliani ancora! (Vedi come se li mangia? Vai a prenderne ancora!, Vai a prenderne ancora!) – dicevano i grandicelli ai piccolini… E così, la sera, mentre alcuni continuavano a richiedere altra frutta secca alle mamme che si insospettivano, altri, girando per i quartieri rientravano soddisfatti: alla fine, i furbacchioni, praticando un buco nell’argilla, vi trovavano un vero tesoro che integrava la scarsa cena…

E come non ricordare la fionda, costruita con una corta forcella di legno, due gommosi elastici e un quadratino di pelle di vacchetta? E, ancora, l’arco (di fil di ferro, della raggiera del parapioggia scunucchiatu – scombinato-) e la freccia dello stesso materiale, infissa cautamente nelle porte del vicinato e, purtroppo, qualche volta, nel corpo o, addirittura, nell’ occhio dell’amico?

E perché si dovrebbe tralasciare u iùocu ‘i buttuna, con i bottoni strappati? Alcuni… dai vestiti di casa, altri – quelli di osso giallo – dai càvusi i tila (mutandoni) del padre, altri – quelli di madreperla – dalla camicia della mamma, cosicché i genitori non riuscivano a persuadersi come mai si potessero staccare e smarrire continuamente tanti bottoni dei loro indumenti. Ed in questo giuoco nascevano anche dispute per stabilire se quel dato bottone fosse una funneddra (fondella di metallo o di osso), che, essendo piccola, valeva la metà. Il giuoco più diffuso, per i bottoni, era quello dû sciusciuni (soffione); ma questo soffiare, che allargava i polmoni infantili, era adoperato anche per rivoltare a terra i ritratteddra (figurine a colori dei campioni sportivi di quel periodo: i piu ricercati erano Meazza, Piola, Varzi, Nuvolari, Binda, Guerra ed altri). Questi ritratteddra erano inseriti nelle fascette delle tavolette di cioccolato «Zaini» e, purtroppo, unti e bisunti, logori e stracciati, talvolta, finivano anch’essi nell’armadio del maestro, che li restituiva solo a fine d’anno, contemporaneamente alla strùmmula.

E c’era poi un passatempo, di tradizione araba, u iùocu ‘i chiàmpari (piattelle di pietra), con le quali i giocatori si contendevano, attorno ô zzùmparu (pietra maestra), bottoni, mandorle, noci, nocciuole, e, i più sfrontati e i più azzardosi, qualche rarissimo soldino di rame da cinque o dieci centesimi di lira (ecco perché, in quei giorni, pestate dalle «chiàmpare» circolavano pure monetine addirittura deformate).

Questo giuoco si praticava soprattutto negli ampi spazi liberi di terreno battuto: ô chianu ‘a Matrici, ô chianu ‘a baddra» (piazza Castello), ô chianu ‘i San Franciscu (piazza S. Francesco), ô passettu (Via Ten. Ernesto Forti), ô Rusàriu (piazza ten. Giovanni Schicchi), tutti luoghi, allora, allo stato naturale. E si giocava anche a marreddra (matassina), con brevi fili di cotone «Andalusa», usato per confezionare le calze, che le donne sferruzzavano per tutta la famiglia. Certe matassine spesso servivano per allungare la tela dû sfìlatìeddru, tessuta al telaio casalingo con lo sfilato delle calze fuori uso, specialmente degli spezzoni di gambaletti: il prodotto serviva per approntare gli strofinacci da cucina e i sacchi che trasportavano dalla campagna i prodotti agricoli.

Nelle belle giornate, e particolarmente per l’Ascensione (festa che, allora, si celebrava di giovedì ed era gaia occasione di vacanza scolastica) c’era anche a vùozzica (altalena) che veniva allestita con la corda ‘i carricari (per caricare pesi e some su carretti e quadrupedi), legata ad un balcone di casa, e spalancando la porta della stalla sottostante. E qui c’erano i vuluna (ampi voli) ed a nnìmmula (arcolaio), che consisteva nell’attorcigliamento, per quanto possibile, da parte dei compagni a terra, delle due corde che sostenevano il ragazzo, il quale, quando le due corde venivano lasciate e si distorcevano improvvisamente e ve1ocemente, aveva modo, in quest’ebbrezza, di confermare la validità della teoria di Galileo Galilei sul girar della Terra e, qualche volta, anche, di rimettere la colazione per il malessere fisico.

E le femminucce? Giocavano al girotondo; al quadrato, segnato a terra con tanti riquadri, sui rarissimi spazi pianeggianti regolarmente selciati: si udivano anche qui parole di origine araba: «Amh!», «Salamh!», e poi «Bruci» (quando si toccavano le linee); e si vedevano saltellare, a turno, su un piede, le ragazzine, che vi mettevano tanto impegno. O altrimenti giocavano, pure esse, con la strùmmula ma tirando nzutta, al contrario dei maschi che la lanciavano nzupra. Oppure cucinavano fili di paglia, come ipotetici spaghetti e bucatini, e spezzoni di erbe, come verdura, in bucce di semi-arance, già digerite: era questo il pasto per la pupa (bambola) di stoffa fabbricata dalla mamma. O, ancora, si accontentavano di raccontarsi a vicenda le fiabe, ascoltate la sera precedente attorno alla cunculina (braciere), sedute, ora, calme calme sugli scalini della porta di casa.

E, a quanto sembra, allora, nessun fanciullo, nessuna fanciulla passava la nottata insonne…

E oggi? Come si accoglie il robot telecomandato? Soddisfano il colore e la forma della bicicletta? È sufficiente il numero dei bassi o dei complicatissimi tasti, in genere, della pianola elettrica o della fisarmonica? E la bambola parla, ride, piange, canta e balla, con evidente prontezza e graziosa scioltezza? E il giradischi, e il mangianastri, e la radio a cuffia sono proprio di marca? E la raccolta di «long-playing» e di cassette sono proprio aggiornate? E la «paghetta» settimanale è adeguata?

E quando la cameretta individuale e lo scaffale riservato sono del tutto ingombri e non vi si può sistemare assolutamente più nulla, Lambertuccio e Fabrizietto, Lanfranca e Cinzia, riescono a gioire di quello che vedono i loro occhi? Ci sarà qualcuno che si sentirà frustrato?… E la Vecchia Befana… è quella di prima?… Ma di questa si parlerà in altra occasione…

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