Addio a Pane e Panelle, dopo 60 anni ha chiuso lo storico locale di Castelbuono

(Di Gianfranco Raimondo) – La voce girava da qualche tempo, non badandoci non ci avevo neanche creduto.

Fino al 29 dicembre.

– Guarda, il 31 chiude pane e panelle.

Sì pane e panelle, perchè noi il prodotto lo abbiamo sempre identificato con il locale al punto di fare una nostra personale risata e polemica quando sbucò l’insegna su cui scritto Al Solito Posto.

Dicevo pane e panelle, e come ovvio in tutte le vicende di Castelbuono, anche le panelle sono uscite fuori razza.

Nella madre patria delle panelle, cioè Palermo, sono sempre state pitagoriche cioè quadrate.

Castelbuono le ha viste nascere, crescere e beatificarsi rotonde, come per omaggio alla bravura di Giotto.

Al 30 dicembre parte la prima spedizione di saluto alle panelle. Alle otto di sera tutte finite.

Avremmo potuto prendere dell’altro per un insensato commiato finale.

Nel tempo, alla tradizione delle panelle si sono affiancati altre star della gastronomia locale e internazionale tipo la milza, il burger e il kebab e se volevi il ketchup sulle panelle lo pagavi 20 centesimi.

La globalizzazione è passata anche da lì.

In realtà, il mio piatto preferito era tutt’altro.

Parlo delle patate al forno mangiate col panino.

Per lungo tempo con mio cugino Ciccio abbiamo discusso quale fosse l’ingrediente segreto di quelle patate così speciali.

Secondo lui cotte col pollo, io invece mi ero fissato con il limone. Fu allora, al tempo del crescente mito delle patate al forno comprate da pane e panelle quando incontrai – davanti al locale –  la prima celebrità della mia vita. Gelindo Bordin.

Molti di voi penseranno: – e chi cazzo è Gelindo Bordin?

A quei tempi avrebbe vinto il primo oro olimpico italiano in una maratona. Si era appena aggiudicato il Giro Podistico.

Impietrito, non gli dissi nulla, tirò dritto.

Finite le panelle il 30 dicembre, avevamo come ultima spiaggia il 31.

Andare da pane e panelle è stato per me sempre come un luogo familiare.

Il locale ha aperto nel 1959. Sulla parete di destra di fronte al bancone ci sono le foto di quell’evento.

Mio padre è morto tre anni fa, nel momento di massimo affetto per lui, perchè il destino è un professionista quando si tratta di prenderci a calci nel culo.

Dicevo – familiare – perché in una di quelle foto ci sta mio padre ripreso insieme ai suoi amici. Dicevo – familiare – appunto le foto dei morti le trovi a casa o al camposanto non in giro per i locali.

Riconosco pure mio zio Saro, in quella foto sembra uscito da un film anni cinquanta di Monicelli.

In realtà mio zio Saro non è mai stato mio zio, non siamo parenti, nemmeno acquisiti, ma nelle basse Madonie dall’amicizia nascono pure i nipoti.

Dovessi ricordare su due piedi mio zio Saro direi, la finale del mundial 82 Italia Germania 3-1 vista a casa sua e il giorno in cui lo vidi mezzo imbalsamato perchè il suo cane o quello di suo fratello l’aggredì: dio abbia sempre in gloria i gatti.

So chi è una terza persona nella foto.

E’ Cesare Fiasconaro. Cesare aveva una Lancia Prisma, stessa macchina e stesso colore di quella di mio padre.

Ai tempi del liceo facevo l’autostoppista, spesso con Peppe Rocca, ero la versione ridotta e imbecille di Jack Kerouac.

Era davvero un personaggio, però a quei tempi lo conoscevo poco. Indeciso, per gentilezza, mi passò da bere. Garbatamente rifiutai. Finestrini abbassati, mi sentivo diretto a Frisco e non a Castelbuono.

Il 31 dicembre è l’ultimatum per salutare pane e panelle e se dici pane e panelle a Castelbuono dici sempre Messineo.

Conosco Carmelo e Giuseppe Messineo, i due fratelli succeduti al padre nell’attività.

Giuseppe durante le puntate del Tombolone di Radio Cora era solito mandarci dei pane e panelle.

Radio Cora è in pensione più o meno da quando Alfonsino ci ha dato l’addio e nel giro di cinque giorni ci hanno salutato nell’ordine casa Pink Lady (per originale scelta di Daniele Piro) e le panelle.

Nell’intricato ginepraio di strade e contrade di Castelbuono, una di queste conduce nella contrada chiamata Donna Rosa. Pink Lady (sempre per originale scelta di Daniele Piro) sta per Donna Rosa e a Donna Rosa in quella casa ribattezzata Pink Lady in occasione del Tombolone ci abitava il professor Sciandra, l’allenatore del pallone di parecchie generazioni a Castelbuono.

Con lui giocavo in porta, partito titolare mi ritrovai numero dodici di un numero uno tanto basso da non toccare la traversa.

Ma io ero più scarso di lui.

Per cui chiesi al professore Sciandra di giocare come attaccante.

Dopo mille richieste mi spedì finalmente centroavanti vestito da portiere senza farmi togliere neanche i guanti.

Dopo quella, col calcio a undici dei giovanissimi mi appesi al chiodo.

La mattina del 31 dicembre una quota di castelbuonesi si alza con la tradizione della Vecchia.

Ci risiamo, no Babbo Natale, no Befana, da noi esistono i doni portati e nascosti dalla Vecchia nelle case la notte del 30.

A sto giro, la mattina del 31 ci svegliamo con il pensiero delle panelle.

A Palermo le panelle te le friggono davanti, ma questo l’avrei scoperto molto tempo dopo.

Per me provenivano sempre da un posto misterioso.

Nella mia infanzia avessi dovuto fare la mia personale classifica del vorrei ma non posso legato ai luoghi di Castelbuono ci sarebbero stati:

La grotta della Vecchia sul monte Milocca (per me è sempre stato femmina, il monte, non la Vecchia).

Il tunnel di collegamento tra il Castello e la Chiesa Di San Francesco addirittura cavalcato dal Principe Ventimiglia.

Ora, nel paese in cui i chilometri totali di metropolitana sono pari a quelli di Londra nel 1890, a Castelbuono nel medioevo pullulava il fior fior dell’ingegneria di tutte le epoche.

La storia mi puzza di minchiata colossale, ma allora desideravo calarmi nel pozzo del Castello e chissà, trovare sto tunnel.

Infine, come terzo desiderio, avrei voluto tanto vedere da dove arrivano le mie squisite panelle (e le patate).

Sulla sinistra del bancone si apre una porticina, sopra c’è scritto vietato entrare e ancor più su ci sta una foto di Messineo padre a caccia in Polonia.

Ha i baffoni e una giacca militare, gli stessi baffoni della foto del giorno dell’inaugurazione ritratta insieme a quella di mio padre e soci.

Qualche giorno prima, parlai di quella misteriosa e fatata cucina con Enzo Sottile il quale mi disse: – ci sono stato. E me la descrisse con piglio speleologico.

Dunque, dici grotte a Castelbuono e io vi racconto le mie preferite.

Ritorna la grotta della Vecchia sul monte Milocca (per me è sempre stato femmina, il monte, non la Vecchia). Ci sono stato, grazie ad Elio Sicilia, allora presidente del CAI e non vi sto a dire se abbiamo trovato la Vecchia.

La grotta del Pipistrello, il Balzo del Gatto e quella mistica sotto la Rocca di Gonato, dietro il masso obliquo sempre in bilico. Tutte conosciute ed esplorate sempre grazie ad Elio Sicilia.

Enzo Sottile le conosce tutte e tre e mi confessa i suoi trascorsi speleolologi quando cercarono e riscoprirono proprio il Balzo del Gatto, sulle tracce di Francesco Minà Palumbo.

A mezzogiorno del 31 prenotiamo 10 panini con panelle da ritirare alle 13:30.

Dovessi scrivere una banalità adesso, direi sta chiudendo un pezzo di storia, non solo per intere generazioni ma estetico, vero e proprio.

Non sono molti i locali a reggere il peso della storia, questo un po’ ovunque.

Penso al Rattazzo di un tempo a Milano, ma lo stesso potrei dire per Pino Piscia e Trema se un giorno (mai) dovesse chiudere a Palermo.

Prenotate le panelle, con Vikib ragioniamo sui luoghi storici rimasti immutati a Castelbuono.

Su due piedi diciamo il Terrazzo, il Play Bar e il segretissimo Club Palermo, al quale accedi soltanto con Papera.

Il Terrazzo rappresenta il monolite della Castelbuono ormai sparita, quando camionisti e TIR riempivano l’intera via Geraci e tiravano l’economia.

E continuiamo con i mezzi pesanti. Camionisti di cui ho ancora un vivo ricordo. Giovanni Rocca, lui viaggiava con i carichi di acqua Fiuggi, vantava di conoscere strade, autostrade, bivi e svincoli. Sicarruni, il papà di Antonio, sempre in giro mentre noi – bimbi – giocavamo allo Scondito. I Lima e la grande scritta AIA. 

Del Play Bar ricordo invece la rivoluzione fast food per noi ragazzini di allora, il panino con le patatine fritte (ketchup gratis) o l’insalata russa e i biliardi ma non quelli dello zio Filippo o del Liberale di suo figlio Pietro Cicala.

All’una e trenta del 31 dicembre andiamo a prendere i panini con le panelle ma aggiungiamo un pizza e due patate al forno (buone ma non più quelle di una volta).

Dentro troviamo tre stranieri. Mostriamo una certa mesta euforia. Gli stranieri ci guardano e non capiscono.

Ci aspetta Carmelo. Al solito saluto mio padre, lo zio Saro, Cesare e poi cerchiamo di riconoscere qualcun altro. Manca Papera, per cui è impossibile.

Gli stranieri non mollano, bevono una Moretti, aspetto loro per chiedere a Carmelo di realizzare quel mio personale desiderio.

Finalmente vanno via, sono pronto a varcare la soglia.

– Attento alla testa – mi dice Carmelo – Solo a quelli dell’INPS (ho capito bene?) non dissi nulla.

Passo sotto la fotografia di Messineo padre – pochi scalini e sulla destra si vede una stanza destinata alle conserve e dalla quale si passavano le pizze, procediamo dritto ed ecco la cucina dove brilla la friggitrice di 64 anni di storia della gastronomia castelbuonese.

Alle 19 del 31 dicembre la gente ordina aperitivi in attesa dei rispettivi programmi di benvenuto al nuovo anno.

Incrocio Daniele Addamo e Massimio Piro. Anche Daniele Massimo stanno per andare da pane e panelle per gli ultimi morsi.

Noi il rito lo abbiamo celebrato un paio di ore prima, abbiamo scattato una foto generazionale un po’ come quelle in bianco e nero destinate a rimanere impresse nei ricordi e difficili da cancellare come l’odore di frittura.

Ritorno a parlare con loro degli ultimi locali storici rimasti uguali.

Aggiungiamo alla lista i panifici, quello un tempo chiamato Felicina, Stuppino, i Forti, Marannano, insomma un po’ tutti ben pensandoci.

E poi ci sarebbero anche Gesani, in via collegio di Maria e gli alimentari alla Mimmo Puccia per intenderci e perchè no? il tabacchi di Alfonsino, un tempo di Don Michele (mio nonno) e adesso di Gianluca, il fratello di Papera.

Ed ancora, macelleria Antista, Gentile, Emilio, Di Liberti e Il Fiore.

Finiscono gli aperitivi, suona in tv l’inno nazionale, Mattarella è pronto al suo nono discorso di fine anno.

Al suo primo, a quest’ora, avrei trovato mio padre con le panelle per il loro cenone intimo.

Al mio ritorno, all’alba, o al risveglio, al solito digiuno, avrei cercato le panelle.

Quelle rotonde.

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